RIACE RESISTE NELLA DIFESA DEL MODELLO DI ACCOGLIENZA E SOLIDARIETA’
Da modello d’integrazione a discarica sociale. Bambini, donne incinte, uomini dal colore della pelle diverso dal nostro diventati scarti da abbandonare nella giungla infestata dagli egoismi di “scafisti” al servizio del populismo-sovranismo. C’è un silenzio assordante a Riace dove aleggia la morte sociale, dove l’umanità, per decreto e/o sentenza, non ha più diritto di cittadinanza. Qualche migliaio di voti in più, già dalle prossime europee, non giustifica la negazione dei diritti fondamentali dell’uomo che la nostra Costituzione garantisce a indigeni e stranieri, a bianchi e neri, a gitani e villici. Dopo il clamore dei mesi scorsi tutto sembra essere resettato. Ed i file che avevano mobilitato l’opinione pubblica, uno dopo l’altro, scompaiono dalla memoria collettiva. La solitudine del “villaggio globale” di Riace ha preso il posto dell’indignazione, vera o farlocca, della solidarietà reale o pelosa, del protagonismo di tanta gente perbene e sincera, compreso quello di personaggi che avevano fatto di Riace il cavallo di battaglia dei loro interessi personali. In prevalenza, riconducibili alla lotta politica finalizzata ad accaparrarsi il consenso elettorale e/o per nascondere i fallimenti della pregressa classe dirigente. A questa latitudine, la bancarotta delle politiche sociali e di sviluppo ha una sola madre: l’assistenzialismo. Fenomeno che ha prodotto una mutazione antropologica con una parte della laboriosità della gente trasformata in parassitismo gravido di devianze criminali, di corruzione, di poteri forti, di politica qualunquista e, spesso, collusa. In questo secolo di “nani e ballerine” hanno preso il sopravvento gli arringatori di popolo che cavalcano i bisogni dei cittadini del Nord come del Sud e delle Isole mentre lo Stato, da un lato mostra giustamente i i muscoli nella repressione delle degenerazioni sociali, ma dall’altro, purtroppo, manifesta la sua impotenza nell’affrontare i problemi reali del territorio e dei cittadini.
E quando nel deserto di queste terre suddite, provocato dalla miopia delle politiche governative di ieri e di oggi (da Cavour a Giolitti, dalla dittatura fascista all’attuale Repubblica: nessuno escluso), cresce un arbusto si fa di tutto per sradicarlo. Eppure in questo deserto, qualcuno, cavalcando la tigre delle diseguaglianze e degli atavici mali, ottiene i consensi per governare il Paese. La Calabria ancora una volta è stata un serbatoio di voti per candidati “stranieri” (le virgolette sono deontologicamente corrette ed eticamente doverose per non offendere gli immigrati di Riace come quelli di Lodi) i quali, al pari dei prenditori di risorse pubbliche, anch’essi venuti dal Nord, sono scappati dopo il raccolto e si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Anzi, si sono arrogati il diritto di fare marameo.Ripensando a Riace spostiamo indietro le lancette della storia patria, al secolo 1860 -1961, periodo in cui 25 milioni di italiani, in prevalenza del Sud, migrarono in giro per il mondo alla ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro. Una storia che abbiamo quasi dimenticato. Guai a noi, perché un popolo senza memoria difficilmente riuscirà a programmare un futuro in cui l’uomo si liberi dalle catene della povertà delle diseguaglianze, delle ingiustizie sociali e, soprattutto, dalla dittatura del sistema neoliberista, dalle logiche del mercato globalizzato e da quelle perverse del capitalismo finanziario.
Logiche che hanno relegato la politica a semplice comparsa, la quale invece di lottare per ripristinare il suo antico e nobile primato sta simulando una guerra con le semplici armi del populismo e del ritorno ai sovranismi. Ideologie che rappresentano un moschetto caricato a salve in dotazione ad un manipolo di rivoluzionari, in America come in Europa, che vorrebbero far crollare il sistema che governa il mondo.Semplici utopie che viaggiano lungo la rete dei social media in grado di collezionare like per la conquista temporanea del potere, destinato a durare giusto il tempo della verifica del mancato impegno assunto con i cittadini in campagna elettorale. L’esperienza di Riace sarà ricordata come un esempio di grande umanità e di accoglienza in un mondo agitato dai demoni dell’immigrazione che alimentano le nostre paure ed inquinano di intolleranza e razzismo anche l’aria che respiriamo. Mimmo il Curdo (al secolo Domenico Lucano) non finirà nel cimitero nell’oblio, nonostante la sistematica demonizzazione subita da una parte della politica, dai mass media schierati politicamente, e dai suoi avversari presenti, non si esclude, nella stessa Riace. Anche lui ha assunto lo status di profugo in cerca di una nuova terra che lo accolga. In questo non appare diverso dagli immigrati che hanno rivitalizzato Riace: eredi dei 250 curdi che, nell’estate del 1998, dopo aver superato le insidie del Mediterraneo, il loro vascello s’incaglio nello stesso tratto di mare dove, il 16 agosto del 1972, il sub romano Stefano Mariottini rinvenne i Bronzi.
Quale sarà il loro futuro in un’Italia che all’inizio dell’anno in corso (dato Istat) contava oltre 5 milioni di immigrati, di cui 3 milioni e settecentomila non provenienti dell’Ue? Il numero dei cosiddetti irregolari non è quantificabile: le stime ipotizzano 2/300 mila, nel complesso degli arrivi sulle coste della Penisola, prima di proseguire per altre destinazioni europee.Altri dati ufficiali evidenziano che l’immigrato è una risorsa per il nostro Paese, sia in termini di entrate tributaria, sia di contribuzione previdenziale.Gli smemorati dei palazzi del potere dimenticano poi che l’Italia, al pari del Vecchio continente, è alle prese con la questione demografica: i dati evidenziano che, nei prossimi 20 anni il mercato del lavoro necessita di non meno di 325 mila lavoratori. Impossibili da reperire in un Paese alle prese con l’invecchiamento della popolazione. Regolarizzare, non demonizzare. Ignorare altri dati è da irresponsabili: il 10,5% della forza lavoro italiana è composta da stranieri che, nonostante il loro reddito annuo sia inferiore a quello dei nostri connazionali, incrementano il PIL dell’8,9%; versano 8 miliardi di contributi previdenziali e ne ricevono circa 3. “Con i restanti 5 miliardi di differenza – sottolinea Stefano Allegri nella sua pubblicazione ‘5 cose che tutti dovremmo sapere sull’immigrazione (e una da fare)’ – si calcola che si paghino oltre 600 mila pensioni: di italiani”. E allora perché non pensiamo all’immigrazione come risorsa? L’idea di riaprire i canali dell’accoglienza regolare va approfondita e tramite accordi con i paesi di partenza di questi disperati potrà essere spezzato il monopolio, dunque il business, delle multinazionali del crimine.
Il linguaggio dei novelli Robin Hood va decodificato “cum grano salis” altrimenti il credo di sovranisti e populisti alzerà il volume del malcontento dei cittadini, alimenterà lo scontro sociale e, cosa ancora più grave, diventerà una seria minaccia alla pace tra popoli che in Europa dura da 73 anni. In mancanza di una fede, per tutti c’è il tribunale della storia che, prima o poi, sarà chiamato a giudicare quanti hanno spezzato il sogno di libertà di persone scappate dall’inferno di mondi lontani e che in Calabria, l’ultima delle regioni dell’Europa, hanno trovato un posto da dove ricominciare.Quanto ancora questi esseri umani resisteranno prima di lasciare il paesino ionico e soprattutto che ne sarà di loro senza Mimì Lucano confinato in quel di Caulonia? In questo centro rivierasco del reggino, l’ex sindaco di Riace ha avuto concesso dagli amici un tetto dopo che lo “sconfinamento coatto” che gli ha cucito addosso lo status di esule costringendolo a vivere un esilio lontano dagli affetti e da quanti si erano illusi che in Italia avrebbero finalmente trovato la patria del diritto.
Antonio Latella sociologo ASI