L’AMORE AI TEMPI DEI SOCIAL NETWORK
INTRODUZIONE
“AMOR, CH’A NULLO AMATO AMAR PERDONA”
di Sonia Angelisi
“Le emozioni hanno un carattere particolare
da cui non può fare astrazione chi si occupa
della vita sociale dei suoi simili”.
(Lucien Febvre)
Lo spirito che ha animato il collega Giuseppe Bianco ad intraprendere questo lavoro d’indagine sui mutamenti che interessano i rapporti di coppia nei tempi postmoderni, è perfettamente in linea con quello che la sociologia auspica secondo il pensiero del celebre studioso polacco Bauman.
Fu proprio Bauman ad affermare, infatti che: “Il compito della sociologia è venire in aiuto dell’individuo. Dobbiamo porci a servizio della libertà. (…) Lo sforzo corrente di comprendere il mondo – questo mondo, qui e ora, apparentemente familiare, ma che non risparmia sorprese, negando oggi quello che ieri lasciava intendere fosse vero e offrendo al tempo stesso scarse garanzie che ciò che oggi, al calar del sole, riteniamo vero non venga rigettato all’alba di domani – è effettivamente una lotta. Una strada in salita, potremmo dire – e sicuramente un compito scoraggiante e interminabile -, che non ha mai una fine. La vittoria finale è sempre, ostinatamente, più in là dell’orizzonte.”
La missione della sociologia non è, dunque, solo interrogarsi sulle trasformazioni a livello sistemico, ma soffermarsi, oggi più che mai visto l’individualismo crescente, sulle dinamiche che interessano l’individuo.
Iniziamo subito col dire che l’indagine in oggetto è ancora in itinere e non ha alcuna pretesa di essere esaustiva degli argomenti trattati. E’ piuttosto uno stimolo ad intraprendere un percorso scientifico su uno dei temi più dibattuti e, per anni, poco trattato dalle scienze sociali: l’amore. Dunque, nessuna risposta, nessuna conclusione certa, bensì nuove domande si affacciano quando ci interroghiamo sull’amore, tenendo sempre ben presente le diverse tipologie d’amore che interessano la nostra società: l’amore fraterno, quello materno e quello erotico (E. Fromm). In questo caso ci concentreremo sulle relazioni di coppia che implicano un coinvolgimento erotico.
E’ facile notare come, nell’era della comunicazione istantanea e multimediale, sia cambiato anzitutto l‘approccio nelle relazioni a due. Incontri online e tecnologia creano maggiore disponibilità di appuntamenti, ma anche maggiore asincronicità, confusione di ruoli e sentimenti, rendendo il corteggiamento disfunzionale, senza intimità, di breve respiro. Non è ben chiaro se si possa parlare di fine del corteggiamento, sicuramente qualcosa di nuovo si muove alla luce degli schermi dei nostri pc in cui, la possibilità di nascondersi dietro molteplici identità virtuali, ci permette di chattare, messaggiare, linkare, postare, azzardare con una certa scioltezza e con una inconscia dose di vigliaccheria. Questa nuova forma di “farsi avanti senza esporsi davvero” alimenta gli incontri, ma ne banalizza i contenuti. Eppure i siti adibiti ad incontri on line sembrano essere in ascesa, un mezzo prediletto per quanto vuoto. Eppure, se questo è il senso del corteggiamento vissuto attraverso il web, diverso è il discorso sull’amore che da sempre è il più grande ideale e una delle maggiori promesse di felicità dell’umanità. La differenza rispetto al passato è che questa legittimare l’amore ad ideale è divenuto esclusivo dell’amore stesso. Nelle società occidentali l’amore rappresenta un alto, ma probabilmente, l’unico ideale che ancora unisce le masse (Martuccelli, 2013). L’amore non solo come ideale sacrificale ma anche come senso della nostra esistenza. La doppia realtà dell’amore (ideale di vita e promessa di felicità) comporta due importanti modifiche nell’organizzazione delle società contemporanee:
- L’amore trasforma in profondità la natura della crisi di senso, ovvero la nostra crisi di senso non è più associata ala fine dell’economia generale del mondo o alla religione, ma alle vicissitudini del quotidiano che ci frustrano nelle loro promesse di felicità e che l’amore, soltanto l’amore è capace di trasformare e lenire.
- Il mettere al centro la vita privata anziché quella pubblica, intesa non come trionfo di un individualismo egoista, ma come tentativo di riempire di senso le nostre esistenze individuali nella convinzione che la felicità privata porti a relazioni migliori.
Da queste considerazioni, si origina tuttavia un paradosso: quando l’amore è assente , la nostra vita non ha più senso; ma l’amore non è una fonte di senso per le nostre collettività. La domanda, quindi, è cosa ne facciamo collettivamente di ciò che l’amore ( soprattutto quello di coppia, definito da Alberoni come movimento sociale a due) fa individualmente per ciascuno di noi? Martha Nussbaum arriva ad una conclusione semplice ed efficace: tra le esigenze etiche della vita sociale (che richiedono interesse universale) e quelle dell’amore erotico (che implica intimità ed esclusività) la tensione è inevitabile.
In questo quadro, l’amore si trova nella doppia vesta di dare senso, ragione e passione alla nostra vita personale, ma incapace di colmare di senso le nostre vite collettive, generando una serie di tensione o fratture tipiche dei tempi postmoderni. Ad esempio, assistiamo alla perdita della famiglia tradizionale, o meglio, alla polverizzazione delle unioni civili (si tende sempre più alla convivenza, il tasso di divorzi è in aumento) un aspetto ambivalente di come l’amore, pur essendo il senso della nostra esistenza individuale non rappresenta il collante delle relazioni. (Martuccelli, 2013) La stessa Nussbaum vede nell’amore una ricerca e un desiderio di trascendenza quale compensazione per la nostra finitezza; ma, allo stesso tempo, si evidenzia la necessità per gli esseri umani di accetare la fragilità della loro felicità entro la loro finitezza (1992).
Marc Augé, etnologo e antropologo, è fra i maggiori studiosi delle società umane. È stato direttore dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) a Parigi e direttore dell’Ufficio della ricerca scientifica e tecnica d’oltremare (ORSTOM – ora Istituto di Ricerche per lo Sviluppo, IRD). Egli riprende il concetto di amore nel discorso più ampio della sovramodernità e della conoscenza. Teorizzatore del concetto di nonluogo, Augé ha approfondito i propri studi sulla contemporaneità, analizzandone aspetti critici quali l’aumento della solitudine nel mondo occidentale, malgrado le notevoli possibilità comunicative. Egli sostiene che viviamo in un periodo in cui la vita si allunga e la diffusione delle immagini si accelera. Augè parla di sopramodernità e non di modernità, intendendo la sopramodernità come un prolungamento dei tempi moderni. L’allungarsi dell’esistenza e l’accelerazione della comunicazione comporta una negazione dell’istantaneità; dal punto di vista delle relazioni sociali, è paradossale come ci troviamo nel secolo della comunicazione istantanea e di come, allo stesso tempo, si perdano le relazioni. Augè sostiene che la relazione è una forma di una relazione di massa, con i propri pericoli e propri rischi poiché talvolta l’amore è esclusivo, possessivo e, dunque, l’esatto contrario della reciprocità che implica una rapporto di relazione.
Potremmo affermare che l’amore si configura sempre più come senso e ideale precipuo delle nostre esistenze individuali, pur rilevando la frattura diacronica tra le narrazioni passate del grande amore romantico contro le quotidianità della postmodernità. Questa tensione continua tra emozione privata e funzione pubblica dell’amore, è resa ancora più complessa e compromessa dall’uso delle nuove tecnologie come strumenti atti al corteggiamento e alla costruzione di nuovi “movimenti sociali a due”, riconoscendo nella maggiore circolazione e velocità delle informazioni, una crescita della solitudine e un indebolimento delle relazioni umane.
Ma l’amore è stato da sempre una contraddizione per gli esseri umani soprattutto se consideriamo i condizionamenti sociali che da sempre hanno posto limiti, etichette ed incasellamenti a questo sentimento. Non a caso, il titolo di questo paragrafo introduttivo si rifà alla celebre citazione del quinto Canto dell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri, e che si riferisce alla figura di Francesca da Rimini, amante di Paolo Malatesta e sposata con il fratello di lui, Gianciotto. La storia dice che il marito di lei scoprirà il tradimento e li ucciderà entrambi. Per questo motivo le anime dei due amanti sono confinate nel secondo girone infernale, quello dei peccatori carnali, e inseriti nella schiera dei morti per amore, quella di Didone, condannati alla dannazione eterna.
Il verso appartiene al primo intervento di Francesca e narra del perché lei si innamorò di Paolo. Come altri versi del canto, si presta a molteplici letture.
- Da una lato vi è la forza dell’amore passionale, che travolge i sensi e non consente a una persona che sia davvero amata di non ricambiare il sentimento; l’amore è di tale intensità, che anche dopo la morte resiste.
- Dall’altro, l’amore consacrato dal sacramento del matrimonio, quello di Francesca col marito, che non le perdona e non le consente di amare nessun altro;
L’amore è dunque per Dante permeato da contraddizioni naturali ed esiti anche tragici, tanto che pochi versi dopo lo indica come causa della morte di entrambi. Francesca non potrebbe, essendo sposata, amare altri se non suo marito; è però l’amore stesso a costringerla a farlo, e a ricambiare il sentimento sincero di Paolo.
Questa contraddizione tra precetto religioso e forza naturale dell’amore, contornata dalle tragiche e innocenti spiegazioni di Francesca, struggono Dante muovendolo a un forte sentimento di pietà e comprensione[1].
Il sociologo americano Eric Anderson nel suo libro“, Il gap della monogamia – Uomini, amore e la realtà del tradimento, asserisce che la monogamia non è un comportamento naturale.
Ma se la poligamia è una condizione naturale perché ricerchiamo come ideale il rapporto monogamico basato sulla fedeltà e l’esclusività? Sono i condizionamenti culturali, psicologici e morali a imporre la monogamia. La cultura occidentale ha scelto la monogamia tanti secoli fa, per tutelare la fertilità, evitare le malattie sessualmente trasmissibili, dare alla prole maggiori garanzie di sopravvivenza, assicurandole sostegno umano ed economico (e sappiamo che per rendere autonomo un figlio ci vogliono circa 30 anni). Ragioni che sono venute a mancare con il progresso della scienza e i cambiamenti sociali che hanno indebolito il ruolo fondamentale del maschio nella crescita dei figli e nella sopravvivenza della specie. Ci sono poi convinzioni religiose e morali per cui avere più relazioni è considerato peccato. La bigamia e l’adulterio in Italia erano illegali fino a qualche tempo fa mentre oggi, la fedeltà non è più obbligatoria nemmeno nel matrimonio. I rapporti di coppia sono cambiati con il tempo. Divorzi, infedeltà, relazioni “aperte” ci confermano che la monogamia è diventata temporanea. Ci sono siti per incontri extraconiugali dedicati alle persone sposate che garantiscono discrezione e che offrono “nuove avventure e incontri occasionali per riaccendere il desiderio”, con tanto di consigli utili per non farsi scoprire.
In altre culture ci sono morali e organizzazioni socio-politico-economiche diverse. In varie popolazioni dell’antichità (Cin e Indonesia ad esempio) era diffusa la poliginia, cioè il legame degli uomini con più donne, e in certe zone dell’Africa è ancora presente e tollerata.
Diffusa in Oriente, in particolare in India, nello Shri Lanka e nel Tibet, c’è la poliandria, il legame matrimoniale, che si instaura tra una donna e più uomini. C’è quella fraterna, in cui un’unica donna si sposa con un uomo e tutti i componenti maschili della famiglia di quest’ultimo (solitamente con i fratelli); e quella associata: a un matrimonio inizialmente monogamico si aggiunge un secondo marito, che viene incorporato nell’unione precedente. Tutto per ragioni demografiche e per preservare le proprietà.
Sarebbe interessante approfondire anche se il concetto di poligamia nell’era postmoderna, indipendentemente dai condizionamenti culturali, afferisce soltanto alla sfera della sessualità o coinvolge anche quella emozionale. Ricerchiamo relazioni al di fuori di quella col nostro partner non solo per ragioni puramente fisiche. Eppure sappiamo che riconoscere questo bisogna andrebbe a distruggere un progetto di vita a due che presuppone un impegno di fedeltà.
A tal proposito, Umberto Galimberti scrive:
“ Vogliamo essere con l’ altro, ma nello stesso tempo, per salvare la nostra individualità, vogliamo non esserci completamente. Di qui quell’ esserci e non-esserci, quel rincorrersi e tradire, che fa parte della relazione amorosa. Perché l’ amore è una «relazione», non una «fusione». Se infatti non esistessimo come individualità autonome, non solo non potremmo incontrare l’ altro e metterci in relazione, ma non avremmo neppure nulla da raccontare all’ altro fuso simbioticamente con noi. Come dice Gabriella Turnaturi nel suo bel libro Tradimenti (Feltrinelli) quando lei o lui iniziano un viaggio fuori dal «noi», e che prescinde dal «noi», solo per le attese sociali, solo per i precetti religiosi, tradiscono, in realtà salvano la loro individualità dall’ abbraccio mortale del «noi» che non emancipa, non consente né crescite né arricchimenti, e neppure parole da scambiare che non siano già dette o già sapute prima che siano pronunciate. Amore è un gioco di forze dove si decide a quale dio offrire la propria vita: al dio della felicità che sempre accompagna la realizzazione di sé, o al dio della sicurezza che molto spesso si affianca alla negazione di sé (…)Sembra infatti che la legge della vita sia scritta più nel segno del tradimento che in quello della fedeltà, forse perché la vita preferisce di più chi ha incontrato se stesso e sa chi davvero è, rispetto a chi ha evitato di farlo per stare rannicchiato in un’ area protetta, dove il camuffamento dei nomi fa chiamare amore quello che in realtà è insicurezza o addirittura rifiuto di sapere chi davvero si è, per il terrore di incontrare se stessi, un giorno almeno, prima di morire, con il rischio di non essere mai davvero nati..”[2]
Dunque, se le nostre relazioni sono diventate liquide, per citare Bauman, fino ad apparire “gassose” riprendendo l’indagine di Giuseppe Bianco, quali sono le componenti che determinano questa trasformazione delle relazioni amorose? E se gli individui prendono consapevolezza della vera natura che l’amore ha, instaurando rapporti autentici al di là dei condizionamenti culturali, qual è il prezzo da pagare?
Questi e tanti altri interrogativi nascono osservando i rapporti di coppia e potrebbero portarci a considerare l’amore una vera a propria arte, così come affermava Erich Fromm nel suo libro “L’arte di amare”:
“La gente non pensa che l’amore non conti. Anzi, ne hanno bisogno; corre a vedere serie interminabili di film d’amore, felice o infelice, ascolta canzoni d’amore; eppure nessuno crede che ci sia qualcosa da imparare in tema d’amore. (…) IL primo passo è convincersi che l’amore è un’arte così come la vita è un’arte: se vogliamo sapere come amare dobbiamo procedere allo stesso modo come se volessimo imparare qualsiasi altra arte, come la musica, la pittura oppure la medicina o l’ingeneria. (…) Nonostante la ricerca disperata d’amore, tutto il resto viene considerato più importante: successo, prestigio, denaro, potere; quasi ogni nostra energia è usata per raggiungere questi scopi, e quasi nessuna per conoscere l’arte dell’amore. (…) In realtà parlare d’amore non significa “predicare, per la semplice ragione che significa parlare dell’unico, vero bisogno di ogni essere umano. Che questo bisogno sia stato oscurato, non significa che no esista. Analizzare la natura dell’amore significa scoprire la sua attuale assenza totale e criticare le condizioni sociali che sono la causa di tale assenza”[3].
L’ ANALISI
DALL’AMORE LIQUIDO ALL’AMORE GASSOSO CON SCONFINAMENTO VERSO L’AMORE AL “BUCO NERO”
Di Giuseppe Bianco
“L’incontro di due personalità è come il contatto
tra due sostanze chimiche; se c’è una qualche reazione,
entrambi ne vengono trasformati.”
(Carl Gustav Jung)
Lo ammetto, la presente indagine non ha nessuna pretesa di avere tratti scientifici. È frutto di una riflessione di quasi un anno, derivata da esperienze personali, colloqui diretti ed osservazione indiretta tramite i social (chiedo venia a tutti i ragazzi e le ragazze che per mesi hanno subito domande, provocazioni e messaggi) me ne assumo la responsabilità, ma la mia curiosità sociologica è più forte a volte della mia disciplina e prende inevitabilmente il sopravvento. Non avendo avuto sin dall’inizio una motivazione di tipo scientifico, ma solo personale, né tanto meno esaustiva sull’argomento, spero mi venga perdonato il mio atteggiamento, in molti casi velato, dettato dalla ricerca di spontaneità nelle risposte.
Procedo con una prima delucidazione. Supponiamo che un giovane sociologo, nel giro di un anno, abbia condensato una serie di esperienze personali (una in particolare) e che queste esperienze lo abbiano portato a spendersi completamente nella comprensione delle dinamiche amorose. Supponiamo che nella lotta interiore passata abbia raggiunto l’humus delle fragilità umane di cui siamo costituiti. Supponiamo ancora che, nel mentre, il giovane sociologo abbia sviluppato una serie di perplessità e di interrogativi profondi sul senso dell’amore ai tempi della società liquida, citando il sociologo polacco Bauman. Supponiamo per un’ultima volta, che con disciplina abbia voluto addentrarsi in uno studio empirico e personale, fatto anche per necessità vitali e per ricerca di senso e che, grazie a questi mesi di osservazione silenziosa, si sia voluto fare un’idea più oggettiva di ciò che riguarda l’amore e i sentimenti tra i giovani. Del resto, in diversi casi, la sua professione lo ha portato a formare giovani coppie ed a fare consulenze motivazionali ai così detti “naufraghi d’amore”. Di quanto finora detto: supponiamo.
Cinque mesi è la nostra linea temporale. Cinque mesi sono passati, da quando è iniziato un periodo di dolore. Le braccia passionali di Eros e l’incontro faticoso di Agape (giusto per usare due categorie cristiane) hanno lasciato il posto a Thanatos che, determinato nella sua missione, ha iniziato a plasmare una rivoluzione interiore, spazzando via tutto ciò che di bello e profumato vi era e radendo al suolo sostanzialmente tutto. Tutto, in tempi troppo brevi, per essere metabolizzato ed accettato.
Il giovane sociologo ha iniziato, così, ad interrogarsi a livello psicologico e spirituale e per caso, ha constatato che le stesse sue dinamiche (molto simili) venivano vissute costantemente da decine di giovani uomini e donne adulte (a livello sociale).
Lo schema era simile. Vissuto intenso ed impetuoso che lasciava immediatamente lo spazio ad altrettanta distruttività e guerra. Perché? E soprattutto, le dinamiche attuali erano sussumibili alle eterne danze amorose vissute dall’umanità sin dai primordi della nostra evoluzione? In cosa oggi, stiamo cambiando?
Ho iniziato a dialogare con amici ed amiche. Molto spesso i loro vissuti, si riversavano sui social network (Facebook, Instagram, etc.) e sui messaggi, codificati e brevi della chat di Whatsapp. Ho sentito la impellente necessità di approfondire, anche a costo di non svelare le mie motivazioni personali.
Ma ritorniamo per un attimo alle supposizioni di cui sopra. Supponiamo che il giovane sociologo, nei mesi passati, si sia confrontato con circa 150 persone (50 % uomini single o con storie problematiche e 50% donne single o con storie problematiche con un età compresa tra i 21 e i 35 anni) attraverso due modalità: colloqui amicali e richiesta di contatto sui social, attraverso messaggio. In merito ai messaggi, bisogna dire che la richiesta si è orientata su tre modalità standard, spalmate approssimativamente in modo equo, rispetto alle diverse età:
- messaggi garbati e romantici o orientati ad uno stile desueto – donne;
- messaggi “stereotipati” di richiesta contatto – donne ed uomini;
- messaggi provocatori e diretti – donne ed uomini.
Questo viaggio di ipotesi, si è concluso ieri sera, con una chiacchierata in chat, con una giovane professionista del mio territorio, una volta svelata la motivazione reale del mio contatto. Su quest’ultimo confronto si sono poste le basi per una sintesi.
A seguito di elaborazione dei contenuti, appresi in chat e degli appunti presi dopo i colloqui, si sono espresse alcune dinamiche di base.
Cosa cercano i giovani in un percorso a due? Quali sono le loro aspirazioni e da che base, partono, per approcciarsi con l’altro sesso? Quali i loro timori?
L’articolo, per scopi evidenti della rivista, ha finalità divulgative. Eviterò pertanto di perdermi in lungaggini analitiche e cercherò di fare sintesi, partendo dal campione maschile.
È risultato da subito evidente, una figura di uomo fragile ed insicuro che protegge la sua fragilità dietro due maschere sostanziali, risultate le più diffuse: l’uomo eterno Peter Pan (“FINTO MACHO”) e l’uomo ferito e deluso, CASTRATO direi. Entrambe le categorie evidenziano una problematica sostanziale di ricerca di identità che approfondiremo in seguito. Per entrambe le tipologie risulta evidente dall’analisi delle riflessioni e dalla comunicazione non verbale un sostanziale inappagamento, molto più nascosto e filtrato dall’incapacità atavica dell’uomo ad aprirsi al mondo delle proprie emozioni, cosa che ha comportato notevoli difficoltà in fase di elaborazione.
Potrei assumere come indirizzo generale la categoria di “UOMO SVUOTATO”. Un uomo che ha perso in entrambi i casi, le parti identitarie che avevano da sempre caratterizzato il maschile nel passato (capacità di proteggere e di assumersi delle responsabilità), lasciando immutate le parti più regressive ed arcaiche (ricerca di più partner e di supremazia o di completa deresponsabilizzazione). Le ultime, dovute secondo un’analisi antropologica e culturale anche, ma non solo, al repentino mutamento rispetto all’evoluzione della donna, in termini di leadership e di sicurezza di sé. I mutamenti culturali avvengono sempre in tempi lunghi e per sedimentarsi hanno bisogno di gradualità. Nel giro di pochi decenni intere generazioni di uomini, cresciuti con la fallace idea del “MASCHIO”, si sono visti ribaltare il loro ruolo, da una donna, per fortuna sempre più emancipata e sicura, seppur questo non sia effettivamente riscontrabile nella realtà. I casi di discriminazione della donna nella sfera lavorativa o ancora i tentativi di dominio patriarcale, così come le convinzioni sociali che pongono la donna in posizione subordinata rispetto a quella dell’uomo, ci conferiscono l’esatta dimensione di come il percorso emancipativo della donna sia ancora tutto in salita. Eppure le trasformazioni che sono in atto dal 1968 sono ancora dure da digerire per il sistema sociale predominante. Il risultato di questa rapida rivoluzione, non ha comportato, come sarebbe stato ragionevole aspettarsi un cambiamento interiore ed un nuovo equilibrio identitario, ma uno svuotarsi di essa (nella migliore delle ipotesi) o un’irruzione di violenza bruta e resistente (basti pensare a i casi di femminicidio, frutto di nature violente e maschiliste), nella peggiore. Anche per la categoria castrata e delusa, non si è registrata una maturazione sostanziale della personalità, rimanendo il tutto relegato, come si diceva poc’anzi ad un’”infantilizzazione deresponsabilizzante” dello stesso, con lo sviluppo passivo e non comprensivo di una ostilità, quasi fobica, verso una donna descritta sempre più spesso come “mascolinizzata”.
La parte femminile, contattata soprattutto sui social, ha portato ad una maggiore profondità di informazioni. Innanzitutto si è palesata la differenza di risposta a seconda del messaggio di contatto. Nel caso del messaggio più stereotipato (ad esempio, il semplice saluto), escludendo la parte costituita da amiche o conoscenti, contattate per lo più di persona direttamente, in almeno il 70% dei casi di contatto stereotipato, non si è ricevuta risposta. A seguito della constatazione di questa dinamica, ho approfondito assieme ad alcuni amici esperti di social e di marketing, che mi hanno confermato un periodo di crisi sostanziale dei social (di Facebook in particolare). Durante i primi tempi della diffusione dei social, la novità e l’ebbrezza data dalla possibilità di crearsi un’identità virtuale, senza il bisogno di mettersi in gioco direttamente, aveva stimolato una reazione compulsiva alla risposta, dinamica questa che nel tempo ha comportato il sorgere di vere e proprie patologie (dipendenza dai social).
Nel corso degli anni, questa dinamica si è affievolita per due ragioni almeno: 1) è passata la fase euforica della novità e dell’effetto tribù, 2) la sovrabbondanza della popolazione in rete, ha comportato una sovrabbondanza di visibilità. Vi è stato un rinforzo enorme del narcisismo, ma svuotato da effetti reali. Basti pensare che alcuni profili, molto visitati di giovani donne ed uomini, per ogni foto o post inserito ed ogni like ricevuto, riescono ad ottenere una visibilità su un’utenza di migliaia di persone. È ragionevole pensare a quanto possa annoiare, il numero enorme di contatti stereotipati che a causa della virtualità vengono filtrati e processati da chi li riceve, come semplici numeri e non come persone reali.
Per quanto riguarda le richieste di contatto dirette e più provocatorie, si è registrata risposta solo nel 30% dei casi e comunque, attorno al 20% le risposte erano altrettanto dirette e superficiali, non si ponevano aperture a livello di conversazione.
Discorso a parte e forse più interessante, riguarda la richiesta di contatto, orientata su complimenti più delicati e romantici. Vale la pena di approfondire maggiormente. In questi casi si è registrata una risposta alta (attorno all’80%), in pochi casi, si è chiacchierato in maniera normale e fluida, sana oserei dire e ci si è lasciati, con la promessa, appena possibile, di incontrarsi di persona. In molti altri casi, si è palesata invece una evidente mancanza di fiducia, che all’inizio veniva gestita con una risposta aggressiva e dopo con un’apertura sincera, ma bloccata dall’incredulità di sentirsi accolte nell’anima e non in forma solo superficiale.
Il profilo di donna, scaturito nel complesso e con presenza preponderante, è riconducibile a tre categorie in particolare:
1) tipologia “castrante”;
2) tipologia “confusa”;
3) tipologia “performante”.
La paura e la confusione mi sono apparse in modo lampante.
Riguardo alla tipologia confusa si è manifestata una figura di donna che cerca di scegliere tra ciò che il proprio femminino sacro detta e tra il bisogno di proteggere con forza, l’autonomia e la libertà conquistate. In questa ricerca di equilibrio quasi sempre si perdono i parametri della realtà e rimane solo una grande confusione. Molto spesso, alle mie domande sul tipo di uomo ideale, mi sono arrivate risposte dicotomiche estreme ed idealizzate: “vorrei un uomo gentile, collaborativo e comunque passionale e selvaggio!”.
Nel caso della categoria castrante (ho potuto constatare una rabbia legata probabilmente a ripetute delusioni, avute da uomini immaturi e Peter Pan), fissata su un pregiudizio forte ed auto-boicottante, molto vicino al gioco psicologico che Eric Berne, nel suo libro A che gioco, giochiamo?), chiama ironicamente: “T.H.B.F.D.P. – Ti ho beccato figlio di prostituta!”.
Nella tipologia performante ho potuto registrare l’esigenza, anch’essa in parte delirante, del bisogno di costruire una figura maschile ideale e di poterla controllare in forma ossessiva, rimanendo delusa, ogni qual volta il partner non riesce a recitare la parte idealizzata.
Vi è evidentemente una grande confusione rispetto a ciò che dovrebbe essere un rapporto di coppia, sano ed adulto.
Cerchiamo adesso di raffinare queste informazioni parziali, a livello più teorico e globale. La nostra società occidentale, orientata alla liquidità baumaniana, vive in generale un ulteriore momento di regressione. Le dinamiche fluide, veloci, euforiche e narcisistiche stanno lasciando spazio a dinamiche gassose. In fisica, lo stato liquido è caratterizzato da un legame, per quanto meno stabile di quello solido, tuttavia presente. I rapporti umani in genere e sentimentali nello specifico sono stati identificati da Bauman con la categoria dell’AMORE LIQUIDO. Un amore vissuto rapidamente, consumato, trascorso in fretta che nella fluidità, lasciava il posto ad altri legami.
Per quanto ho potuto constatare, attualmente si sta palesando e confermando un’ulteriore modalità, ancora più orientata all’individualismo: l’amore gassoso. Nello stato gassoso, le particelle rimangono assieme, solo grazie al contenitore nel quale sono chiuse e permangono comunque in una modalità confusa. A volte si toccano, in altre no. Così avviene in molte dinamiche di coppia. Si sta assieme, perché il contenitore culturale e sociale, mantiene forzosamente assieme le due individualità, ma mutato quello, le particelle si allontanano ed anche e nonostante il contenitore, non si fissano né in uno stato solido, radicato e profondo, in termini di legame (mancano valori consolidati), né più in uno stato liquido che almeno permetteva di toccarsi, per un breve periodo. Si sta insieme, solitariamente. Il processo regressivo, almeno dalle storie raccolte non si stabilizza neanche nella fase gassosa che porta sempre di più ad un annullamento dello stare insieme o lascia insieme ma come elementi non in grado di stare assieme ( noia e non senso, portano pertanto alla distruzione stessa del significato del fare coppia e da questo al palesarsi dell’identità “single e felice”) senza sentire più il bisogno di fare coppia (“tanto comunque solo/a ero e solo/a rimarrò!”), assecondando probabilmente ciò che il sistema di potere cerca di instaurare socialmente al fine di costruire una società fatta da esseri confusi, sempre più ripiegati su stessi, individualisti e insoddisfatti che hanno bisogno di colmare il loro senso di insoddisfazione e la loro sete narcisistica nel mercato. A questo, per tendenza naturale, si aggiunge un ulteriore stato: “ l’amore al buco nero” (tipologia dell’uomo/donna castrante e deluso/a con pregiudizio irremovibile). Venuta meno la condizione di naturalezza, di intimità, venuta meno l’esigenza relazionarsi, sentendosi feriti da ripetute storie andate a male, si decide di far collassare a prescindere la relazione (anche solo amicale), fagocitandola e castrandola da subito, in quanto percepita a prescindere come “NON OK”, proprio come avviene per i buchi neri, che accolgono nuova materia per farla collassare già sul nascere.
L’amore e le relazione di coppia andrebbero ricostruite con la pazienza dei saggi. Un elogio alla lentezza anche nelle rapporti a due per darsi quello che la società postmoderna ci ha negato: il tempo. Tempo per conoscersi, tempo per capire i nostri desideri da individui e da partner.
Secondo Strenberg l’amore di coppia comporta: passione, intimità ed impegno. Tutte e tre le caratteristiche vanno coltivate in ambito adulto. Non possono essere consolidate in modo automatico. Maschile e femminile hanno bisogno di ritrovarsi e riavvicinarsi nel rispetto, sapendo già che si parte da un terreno raso al suolo. L’amore comporta la coscienza dell’unicità e nonostante questa, il desiderio atavico dello stare assieme, del camminare assieme. C’è bisogno di tempo e di spazio, di rallentare, di fare luce. C’è bisogno di fidarsi, a costo di buttarsi nel vuoto. C’è bisogno di ritornare a fare esperienza del nostro mondo interiore e di scoprire la ricchezza e la crescita che una vita di coppia, vissuta in modo adulto e maturo può portare. Bisognerebbe cogliere la fragilità delle trappole euforiche proposte dai media e tornare ad essere più naturali. Più semplici ed autentici. La paura può essere vinta solo accogliendola e preparandosi e pertanto, sarebbe auspicabile che tutte le agenzie educative ( Famiglia, Scuola etc.), intervenissero nuovamente con progetti formativi orientati alla conoscenza e valorizzazione dei sentimenti al bisogno sostanziale di mettersi in relazione ( proponendo più poesia e non eliminandola dai programmi didattici!) e non solo alla formazione tecnica e scientifica. Ma questa riflessione potrebbe essere materia di un altro articolo.
Rimane il fatto che l’Amore in senso lato è la forza universale che stimola maggiormente gli esseri umani ad evolversi. L’amore gratuito, impegnato, tenue e burrascoso, dolce ed irrequieto, l’amore in grado di trasformarci e di rendere l’essere umano migliore, dotato di senso ed anima e di capacità relazionale. Bisognerebbe attivarci tutti in tal senso. Il rischio è quello di rimanere con migliaia di foto solitarie ed edulcorate da sorrisi di persone sole o in coppia (sempre e comunque svuotate di senso). Il rischio è quello di perdere la speranza di incontrare in modo gentile e misterioso quell’altro essere, diverso e nello stesso tempo simile a noi, in grado di renderci più maturi, evoluti, armonizzati, vitali, insomma…. PIU’ UMANI.
Ritornando al concetto di supposizione, con il quale ho iniziato l’articolo, lascio i miei pensieri fluire sul testo della canzone di Rino Gaetano: Supponiamo un amore… nella speranza che nella strada contorta e spesso ferita delle nostre vite, la mia ricerca di senso ed intimità, possa portarci a scoprirci maggiormente ed a fidarci di più, l’uno dell’altra. E’ naturale. Voglio continuare a crederci.
Supponiamo noi due
un amore nulla più
supponiamo un amore
che non voglio che vuoi tu
sola davanti a un bicchiere
mi aspetteresti la sera
supponendo un amore
che non voglio che vuoi tu?
Supponiamo un mattino
tu ti alzi e ami me
e che il tempo non passi
che non vivi senza me
fra tanta gente diversa
ritroveresti te stessa
supponendo che sola
tu non vivi senza me? ………..
Di Giuseppe Bianco , sociologo-
Introduzione di Sonia Angelisi (sociologa)
Note
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Amor,_ch’a_nullo amato amarperdona
[2] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2003/08/27/le-nostre anime cosi infantili primitive.
[3] E. Fromm “L’arte di amare”, Mondadori, Milano, 1996.