LA NAZIONALE DI CALCIO SPECCHIO DEL PAESE
“Il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà”, oppure “l’ottimismo è il profumo della vita”: utilizzare questi due concetti per esorcizzare la paura dell’esclusione della nazionale di calcio dai prossimi mondiali di Russia potrà sembrare una profanazione della memoria di Antonio Gramsci e di Tonino Guerra. Assolutamente no! La situazione degli azzurri di Giampiero Ventura e Carlo Tavecchio è talmente disperata che qualsiasi ottimismo appare un’utopia, una delle tante che l’Italia continua ad accarezzare per esorcizzare il baratro in cui sta precipitando. Ovviamente non solo dal punto di vista calcistico.La nazionale azzurra è lo specchio del Paese. Manca un progetto, mancano i giovani, manca la volontà vera e reale del cambiamento. Il vecchio resiste e tutti noi siamo ostaggio di pregresse imprese che oggi non sono altro che ricordi di un’epopea ormai sbiadita. I tempi sono cambiati: nel calcio come in politica, in economia e nella vita sociale.L’ottimismo della volontà – rimaniamo nel campo calcistico – dopo la ricomposizione della BBC ( acronimo di Barzagli-Bonucci-Chiellini: stanchissimi eroi di tante battaglie) azzurra e la riconferma di ormai stanchi eroi del passato con accanto giovani di belle speranze mai diventate realtà non aiutano la ricostruzione, né il profumo dell’incenso esorcizza la paura di ripetere il fallimento di sessant’anni fa.
Il calcio italiano è in crisi: perché la bellezza del nostro campionato poggia sull’ottimismo interessato (ai soldi) e sul profumo (della rimodulazione degli ingaggi) di tanti stranieri, comunitari e non, a cui i club nostrani fanno ricorso pur di non recitare il ruolo di cenerentole nel contesto dei tornei continentali. L’ottimismo serve solo a massimizzare i profitti delle società calcistiche (nell’ottica della filosofia dalle multinazionali) che investono milioni di euro nel trasferimento di calciatori e, soprattutto, negli ingaggi che, in un mondo saturo di ineguaglianze, diventano la più grande delle offese nei confronti della povertà.
Direte voi: “Il calcio è un’industria, un moltiplicatore di ricchezza”.Giusto, ma la parte più consistente di questa ricchezza finisce sul conto corrente, non si esclude acceso nei paradisi fiscali, di poche migliaia di persone che fanno parte dell’esiguo numero di soggetti che detengono la ricchezza globale. Personaggi diventati modello di milioni di giovani che bruciano le loro speranze nel tentativo di sfondare in un mondo in cui solo una maggioranza di aspiranti calciatori riesce ad affermarsi. E il fallimento apre la stradata al disadattamento e, spesso, alle devianze. Il calcio, come tante altre espressioni della vita nazionale, dovrà essere rifondato: nei valori innanzitutto, ma anche strutturalmente sia dal punto societario che tecnico. L’implosione di questo sistema è solo questione di qualche decennio, poi come tutti i giganti dai piedi d’argilla crollerà lasciandosi dietro montagne di macerie. Poi noi tutti saremo costretti a partecipare alla ricostruzione (l’analogia con il sistema bancario appare più che appropriata) pagando un prezzo salato per rifondare un mondo, quello del calcio, bello all’esterno e, al tempo stesso, marcio, vizioso e spesso violento al suo interno. La delusione per la sconfitta nel playoff subita in Svezia contro i gialloblù di Andersson non alimenta il pessimismo della nostra ragione, anche se non consideriamo un dramma nazionale la mancata partecipazione azzurra al mondiale del 2018.Quattro anni sono sufficienti per un riturale catartico in grado di purificare il calcio azzurro da vizi accertati e da presunte virtù. “Tutto da rifare” (diceva Gino Bartali): dalle società, ai tifosi, alla cultura di tutto il popolo pallonaro. Ecco l’ottimismo della ragione, inteso anche come profumo della vita.
Antonio Latella, giornalista e sociologo (Presidente nazionale Associazione Sociologi Italiani)
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