ESTATE E VACANZE, L’ARTE DI PRENDERSI CURA DI SE STESSI
Ogni anno, con l’arrivo del sole estivo, il sistema dei consumi e mediatico, si riadatta alla proposizione di nuovi stimoli collettivi. Tutto diventa colorato, acceso, musicale. Iniziano ad imperversare le prime pubblicità di crociere, di creme abbronzanti, di gelati e di bei ragazzi e ragazze in costume, accompagnati da fisici scolpiti e marmorei e di altre raffinate seduzioni orientate al divertimento ed alla spensieratezza. Ogni anno puntualmente, l’homo modernus, parcheggiato nei grandi agglomerati urbani e preso fino a tempo da definire dalle solite dinamiche lavorative attuali, inizia a sentirsi ulteriormente scisso. Le pulsioni naturali e libidiche, sopite dai tempi scanditi dai mesi invernali, si risvegliano ed iniziano a bussare alla porta del nostro conscio. “Ho bisogno di una vacanza!”, “Sono sfinito/a!”, queste sono solo alcune delle frasi che ci diciamo e sentiamo durante le giornate. Frasi che spesso sono prodotte interiormente con fatica, a causa del caldo angoscioso ed afoso che quasi sempre viene ad essere smorsato e lenito da moderni rettangoli elettronici che ci portano almeno un po’ di refrigerio.Per valutare bene la situazione, non possiamo esimerci dal considerare il cambiamento prodotto negli ultimi decenni, da un mercato del lavoro sostanzialmente rivoluzionato sia per i giovani che per i meno giovani.
Il ceto medio che visse per tutti gli anni ’80, con stipendi fissi ed assunzioni a tempo indeterminato, ha visto lentamente cambiare le proprie abitudini. Le famiglie si sono impoverite ed i giovani, costretti ad una continua precarizzazione, non pensano neanche più al riposo, come diritto soggettivo inalienabile per il buon funzionamento del nostro mondo interiore. Sembrano passati secoli, da quando le famiglie potevano permettersi il famoso pacchetto “turismo di massa” con in esso annesse la casa ( molto spesso di proprietà) ed un intero mese di bagni di acqua salata con “ le pinne, fucili ed occhiali” , di sole (dispensatore generoso di tanta vitamina D), di fresche insalate di riso, grigliate e suonate in spiaggia con chitarra e falò.Dopo questo lungo periodo, si rientrava quasi sempre riposati e soddisfatti, pronti ad affrontare con la prima pioggia settembrina, un altro anno di lavoro.Oggi non è più possibile per la maggioranza degli individui, la riproposizione di quel tipo di vacanza e neanche risulta essere efficace, il lamento sterile o l’adulazione dei bei tempi andati.
Possiamo invece ragionare, su quale possa essere un modello alternativo ed evoluto, per cercare di ritrovare un equilibrio personale.Innanzitutto, bisognerebbe ricordarsi che il sistema consumistico, spinge, costantemente ad euforizzare le persone, d’inverno ed a maggior ragione anche d’estate e per farlo, deve garantirsi una sostanziale velocità delle nostre giornate. Questo al fine di non farci sentire i nostri bisogni reali e spostarci semplicemente da “consumatori invernali” a consumatori estivi”. Non ci sono altri obiettivi che questo.Un cambiamento in senso positivo potrebbe avvenire, solo facendo silenzio ed ascoltando, nei pochi giorni che si avranno a disposizione, ciò che davvero desideriamo e ciò di cui davvero abbiamo bisogno, staccandoci dai modelli che vengono proposti a spada tratta e che propinano spesso un ulteriore abbuffata di stimoli esterni ( discoteche, spostamenti continui ed in sintesi divertimento a tutti i costi).Ma il nostro cervello ha davvero bisogno di questo per riposarsi e rigenerarsi?La risposta è NO. Non ne ha bisogno. A parte il fatto che approssimativamente per poter condurre la nostra materia grigia e la nostra anima, in uno stato diverso, avremmo bisogno di almeno dieci giorni in un posto nuovo, nel quale potersi staccare dagli immancabili cellulari e dalle immancabili e-mail (tutti noi abbiamo potuto constatare che per una dinamica naturale abbiamo giorni di pre-influenza e giorni di post influenza da un’esperienza nuova. Il grande psicologo Eric Berne, ne parla bene, ricordandoci di come sia importante destinare del tempo per abituarci all’idea di una nuova azione e di come sia importante, al termine di essa, riuscire a prepararsi con gradualità all’idea di iniziarne una nuova).
Se non riusciamo ad entrare in questa dinamica naturale, rientreremo in meccanismi sociali e psichici “trappola”. Staccare dal lavoro e portarselo con sé, senza un momento di ristrutturazione interna. Arrivare sul luogo di villeggiatura ed avendo pochi giorni a disposizione, entrare nel delirio dello sforzarsi a tutti i costi per fare più esperienze possibili, (come se dovessimo mungere una mucca!), non ricordandosi che la vacanza, dovrebbe essere costituita da un ridimensionamento della programmazione delle attività e degli orari ( siamo già iper-programmati nei mesi invernali). Infine, già da qualche giorno prima che tutto finisca, iniziare a lamentarci del fatto che è stato bello, ma breve e che tra qualche giorno, tutto ri-diventarà grigio e triste, con l’effetto di riposizionare il cervello, in una modalità lavorativa e stressogena, ancora prima che finisca il momento di stacco ( potrebbe bastare semplicemente riprendere a lavorare, permettendosi una graduale re-immersione nelle attività quotidiane. E’ vero, spesso ci aspetta del lavoro arretrato, ma è il modo con il quale ci approcceremo ad esso, la nostra centratura, a poter fare la differenza!).Alla fine di queste considerazioni, potremmo pensare ad un modello decisamente più orientato al nostro benessere, distaccandoci dalle solite seduzioni mass-mediatiche e ripensando i giorni di vacanza, in serenità, senza grandi aspettative, con la naturalezza dei bambini, facendo attenzione a quelli che sono davvero i nostri bisogni individuali e familiari, quasi mai coincidenti con i pacchetti standard che ci propongono.
Fermarsi, respirare, godere di un panorama, di una passeggiata, di un bel bagno all’alba o al tramonto, di una cena con amici, un po’ di musica. Trovare lo spazio per fare delle coccole alle persone che amiamo e farci coccolare a nostra volta, giocare un po’, si, semplicemente giocare. Potrebbero essere delle idee virtuose. In pratica, rimanere centrati sulle piccole ma importanti cose semplici che solo il tempo libero può darci.Ed in questo tempo, ricavare anche uno spazio per sentirsi nel profondo, riattivare le nostre energie emotive e desiderose di sperimentare un piacere sano e viscerale e nutrire e riascoltare la parte naturale, infantile di noi. Il fanciullino che ci abita.Mi viene in mente l’idea di “ozio litteratum”, tanto cara a Francesco Petrarca. Consisteva, semplicemente nell’appartarsi dal “rumore mondano”e consacrare quei momenti al sapere ed all’agire bene, leggendo o di tanto in tanto vedendo qualche buon amico, rimanendo lontani dall’angustia dell’iper-attivismo.Del resto i pensatori antichi, molto avevano capito delle leggi universali che governano la nostra anima e noi, uomini moderni, ci siamo dimenticati di prenderci cura di noi stessi, secondo natura (anche sul fisico, siamo costretti da costanti modelli che ci spingono ad adeguarci, facendoci sentire sempre poco adeguati).Bisogna staccarsi dal fare e dal riempirsi. Dall’avere fine a se stesso. Non è la strada giusta.
Il sociologo e psicoanalista, Eric Fromm, scrisse bene: “Gli individui che fanno propria la modalità di vita dell’avere, godono della sicurezza ma sono per forza di cose insicuri. Dipendono da ciò che hanno come denaro, aspetto fisico, potere, beni, in altre parole in qualcosa che è al di fuori di loro. Ma che ne è di loro se perdono ciò che hanno? Se quindi sono ciò che ho e ciò che ho è perduto, chi sono io?”.Il periodo vacanziero, potrebbe essere quello giusto per ricontattare la nostra vera autenticità. La nostra anima. Per poter riprendere le attività lavorative più riposati e magari anche un po’ più felici.
Giuseppe Bianco
Sociologo e Life-coach