Etica e tempo della conversazione online
Gli ultimi eventi e le recenti ricerche inerenti a fenomeni di violenza in Rete, bufale online, hate speech, dimostrano sempre di più che il problema oggi non riguarda solo la tecnologia, ma l’uomo, la sua conoscenza, le sue fragilità, il suo livello di “alfabetizzazione mediale-digitale”, il suo “stare nei media” piuttosto incerto.Il nostro comportamento all’interno dei social mostra a noi tutti che, come le scienze comportamentali ci insegnano, siamo più mossi dalle emozioni che dalla ragione, che preferiamo mantenere intatti nostri pregiudizi anche se ciò a cui crediamo si dimostra poi totalmente errato, che siamo sempre meno disponibili al confronto e abili haters davanti ad uno schermo. In poche parole : ascoltiamo e comunichiamo non per capire, ma solamente per rispondere e si entra in contatto con l’Altro in quanto “diverso”.Alcuni sociologi, analizzando la dimensione comunitaria nel nuovo scenario digitale, riconoscono la nascita di nuove forme di legami che definiscono “neotribali”: le modalità per sentirsi vicino ad una persona ruota esclusivamente attorno ad uno stato emozionale comune: la simpatia.Tali formazioni chiuse, autoreferenziali, non hanno progetti comuni, non diffondono conoscenza, non sono classificabili come “intelligenze collettive e connettive”, ciò che le muove è il semplice desiderio di sentirsi parte di un gruppo dove tutti la pensano allo stesso modo; dunque non c’è confronto, ognuno vive tranquillo con le proprie verità nella propria “bolla”.L’utilizzo inconsapevole dei social in questo senso, rischia di essere utilizzato per costruire strategie difensive per deviare dall’eticità, per sfuggire al processo di negoziazione e condivisione necessario (per sua definizione) in un processo comunicativo-relazionale.Paul Ricoeur, filosofo della comunicazione, affermava come fosse necessario individuare sempre una “situazione limite” in ogni cosa e cioè capire quando l’utilizzo dei social, in questo caso, nutre o danneggia una società.
Riconsiderare la dimensione etica e umana della comunicazione è un passo necessario; più che capire come comportarci nel nuovo ecosistema mediale dovremmo seguire tre principi/virtù, che il filosofo ci suggerisce, che ogni individuo dovrebbe seguire e trasformare in pratiche mediali contemporanee: precisione: capacità di mettere in campo risorse e accertarsi che quello che stiamo comunicando sia chiaro e preciso in modo da favorire feedback; sincerità: essere disposti a dire quello che effettivamente si pensa, creando confronto, partecipazione attiva e critica nei social; cura: saper “curare” le conseguenze della mia comunicazione; ogni contenuto messo in circolo può infastidire o interessare ed è necessario essere in grado di prevedere questo doppio effetto.A quest’ultimo concetto, potremmo legare quello di “ospitalità” espresso dal sociologo Silverstone nel suo lavoro “Mediapolis”: nella nuova società mediale trasparente e connessa è d’obbligo imparare ad ascoltarsi e rispettarsi all’interno dell’ambiente digitale, attivare quel riconoscimento reciproco anche attraverso il medium, per non rimanere schiacciati dall’overload di informazioni.Disintossicare il web ed educarci ai media è possibile a partire dalla creazione di un nuovo storytelling positivo e responsabile, che punti al bene comune e non all’autocelebrazione, all’ascolto dell’Altro e non al maggior numero di like.La diffusione del bene moltiplica il bene, genera un nuovo ecosistema di sapere e contenuti che rafforzano il benessere e la coesione sociale.Oltre alla dimensione etica, c’è un altro punto interessante “la gestione del tempo di convers-azione”.Il tempo all’interno del web è sinonimo di dialogo, strategia, azione e ascolto attivo, ma bisogna essere in grado di saperlo gestire e questo significa innanzitutto iniziare ad accettare che il contesto ipermedializzato in cui ci muoviamo si nutre di opinioni, stati emotivi differenti che devono necessitano di diventare strumento di maggior confronto e negoziazione e non di odio e falsità.La nuova competenza mediale da sviluppare riguarda la capacità di “compartimentale il nostro tempo di convers-azione”, saper costruire una risposta sempre meno istintiva ed emotiva, ma più ragionata, approfondita, sincera, basata su una comunicazione assertiva e quindi chiara ed efficace senza bisogno di prevaricare il nostro interlocutore. Questa è la nuova sfida contemporanea, prendersi tempo per conversare..anche in Rete.
Giacomo Buoncompagni
Dottore in comunicazione , specializzato con master in comunicazione pubblica e scienze socio-criminologiche . Esperto in comunicazione strategica e linguaggio non verbale. Cultore della materia e Collaboratore di Cattedra in “Sociologia generale e della devianza“ e “Comunicazione e nuovi media”presso l’Università di Macerata. E’ Presidente provinciale dell’associazione Aiart di Macerata e autore del libro “Comunicazione Criminologica”( Gruppo editoriale l’Espresso2017). giacomo.buoncompagni@libero.it