SENTIMENTI VIOLATI
Relazione al corso di criminologia organizzato dal coordinamento regionale donne della Cisl Calabria, in collaborazione con la Fondazione Roberta Lanzino e l’ASI – Associazione Sociologi Italiani
Non c’è nulla di moderno nella storia che parla dei complicati rapporti fra le donne e gli uomini, attuale sì moderno no. Parlare di sentimenti significa parlare di amore, affetto, considerazione, desiderio di libertà, desiderio di autonomia, desiderio di autodeterminazione, e significa anche anteporre il valore e la qualità di ciò che si sente e si percepisce rispetto alle azioni.Ma se percorriamo le strade fangose e tortuose del genere femminile, qualunque tipo di sentimento è complicato, arduo e violato, laddove per violazione si intende tutto ciò che limita, previene, nasconde ed elimina. Di attuale c’è il persistente modo di comunicare un fatto tragico e violento, come già la settimana scorsa Antonio Latella ci ha spiegato benissimo. Di attuale c’è il linguaggio mediatico che nella sua imprescindibile necessità di creare effetto e sensazionalismo, genera un voyeurismo mediatico che supera lo scopo di indagare, capire e risolvere, ponendo al centro della scena informativa la notizia di sentimenti e corpi violati e suscitando orrore e raccapriccio.Qualunque azione che lede i diritti umani e non tiene conto dei sentimenti delle persone, è un’azione criminosa.Qualunque azione criminosa, che si protrae nel tempo, condiziona e stravolge il DNA degli esseri umani e, soprattutto verso le donne, nei secoli e con una metodica quasi scientifica, si è perpetrato un comportamento fortemente alienante e discriminante, attraverso la violazione dei loro sentimenti unita quasi sempre alla violazione dei loro corpi.Occorrerebbero ore per tracciare un profilo esaustivo della storia dei sentimenti e dei corpi violati delle donne, e siccome il nostro è un tempo molto più ridotto, ho pensato di toccare alcuni dei punti più indicativi rispetto al tema di oggi.
Quelle del video che abbiamo appena visto (“Caccia alle streghe”) erano semplicemente delle donne che avevano acquisito delle competenze nella guarigione attraverso le erbe e che provavano a lenire i dolori e guarire alcune malattie, con l’utilizzo di ciò che la natura offriva. Oggi è diventato uno stile di vita, quasi una moda, e per fortuna nessuna donna subisce lo stigma, la condanna e il rogo se sceglie di curarsi con la naturopatia, ma quelle donne facevano paura perché la loro capacità di guarigione le poneva al di sopra di tutto e di tutti e conferiva loro un’aura potente che allarmava gli uomini, i quali davanti alla possibilità che altri potessero usurpare il potere decisero di toglierle di mezzo, si stima che le donne condannate, violentate e messe al rogo tra il 1500 ed il 1800, furono circa 7 milioni e mezzo, molti storici lo chiamano OLOCAUSTO. Le donne rappresentavano già un mistero, perché la loro capacità di procreare le aveva poste in un ambito di “misteriosa superiorità”, e se a questo aggiungevano anche le loro capacità di stare al mondo decidendo in che modo accudire e alleviare le sofferenze umane, diventavano esseri dotati di potenza e forza naturali che incarnavano la sovranità del principio femminile, con i suoi valori di conservazione, protezione, aiuto reciproco e condivisione, trasmettendo forza alla popolazione.Chiunque usasse la testa costituiva una minaccia alla ricchezza ed al potere di una minoranza di privilegiati, e a queste donne veniva contestato anche il fatto che con i loro “artifici diabolici” potevano danneggiare gli uomini, colpendo la loro virilità.
Chi autorizzava, ed ancora oggi autorizza, a compiere atti violenti e violanti verso le donne? La risposta è, ed è sempre stata, la cultura che vede gli uomini come unici protagonisti del panorama umano, i soli che avrebbero il diritto di decidere come e cosa fare delle cose e delle persone: la cultura patriarcale. Il Patriarcato è una forma di organizzazione politica, economica, religiosa e sociale basata sul concetto di autorità e leadership del maschile, nella quale si ha il predominio degli uomini sulle donne, del marito sulla moglie, del padre sulla madre e sui figli e figlie, e della discendenza paterna su quella materna.Il Patriarcato è nato dal consolidamento del potere storico da parte degli uomini, i quali si sono appropriati della sessualità e della riproduzione delle donne e del loro prodotto, i figli e le figlie, creando allo stesso tempo un ordine simbolico mediante i miti e la religione che lo hanno perpetuato come unica struttura possibile ed è, a tutt’oggi, il costrutto primario sul quale poggia l’intera società.Attraverso il Patriarcato la classificazione tra “superiore” e “inferiore” si traduce in “uomo” e “donna” e si estende subdolamente ad altri gruppi basandosi sulla differenza gerarchizzata dell'”uno” contro l'”altro”.L’ordine patriarcale crea, così, un’impostura fondata sul principio dell’Assoluto maschile, unico e solo, che esclude le donne, omettendo dal panorama concettuale e decisionale almeno la metà dell’umanità, ma poiché costituisce una cultura tramandata e non scritta esula dal linguaggio comune e quasi mai affiora sulla bocca di filosofi e politici, proprio perché non fa parte di una convenzione comunicativa.Attualmente esistono diversi gradi di oppressione patriarcale differenti, a seconda dell’evoluzione e sviluppo di ciascuna società, che trovano riscontro nella maggiore o minore accettazione e rispetto della “Dichiarazione dei Diritti Umani” approvata e proclamata dall’ONU il 10 dicembre del 1948.La tristissima cultura delle mutilazioni genitali, di cui anche Nausica si fa portavoce per la sua abolizione, è una delle azioni che a tutt’oggi perpetuano il vilipendio del corpo delle donne, e che mutila oltre che il corpo anche i loro sentimenti.Certo, anche le donne hanno “fatto la storia”, nonostante non ve ne siano grandi tracce sui libri, tranne di ciò che loro sono riuscite a recuperare e riscattare, ma sono state sistematicamente escluse dal compito di elaborare sistemi di simboli, filosofie, scienze e diritto.
LE SUFFRAGETTE
Queste sono le prime donne che sono scese per strada mosse dalla consapevolezza, e forse anche dalla rabbia, che bisognava fare qualcosa. Le donne non votavano, non avevano accesso agli studi liceali né alle facoltà universitarie, era loro preclusa qualunque velleità di affrancamento dall’ignoranza. Così nel 1897 nasce la Società Nazionale per il suffragio femminile, la cui fondatrice, l’inglese Millicent Fawcett, chiese anche agli uomini di aderire al movimento, perché solo loro avrebbero potuto “concedere” il diritto di voto: la risposta fu negativa.Il Movimento Femminile voleva raggiungere la parità dei diritti rispetto agli uomini, in ambito politico, giuridico ed economico; le donne volevano insegnare anche alle scuole superiori, volevano votare, volevano pari dignità.Avevano preso coscienza della propria condizione e non si riconoscevano più nell’immagine di creature deboli, passive ed inferiori per natura.Nonostante l’enorme impegno del Movimento Femminile, nel periodo immediatamente successivo, le due guerre mondiali rappresentano un altro momento storico in cui, ancora una volta, i sentimenti delle donne furono violati, facendo loro provare una delle più grandi mortificazioni.In entrambi i periodi bellici, le donne avevano preso il posto di lavoro degli uomini, che erano impegnati nel conflitto, e si erano rivelate particolarmente capaci non solo di mandare avanti l’economia familiare o delle loro Nazioni, ma anche di sostenere i lavori più pesanti, considerati fino a quel momento appannaggio esclusivo della forza lavoro maschile.Si erano, così, illuse di aver conquistato il diritto di poter lavorare assieme agli uomini, e invece alla fine di entrambi i conflitti, furono mandate a case e furono escluse da qualunque possibilità di essere considerate alla stessa stregua dei loro compagni.D’altra parte ancora oggi la stereotipizzazione del genere femminile, codificata dai manuali più importanti di studi sociali, è filtrata da un’immagine che bolla le donne come bisognose di sicurezza, preoccupate solo del loro aspetto, lacrimevoli, particolarmente sensibili, fragili, insomma donne che vivrebbero bene all’ombra di un uomo e che non dovrebbero sentire l’esigenza di autodeterminare la propria esistenza.Dunque, il Femminismo ha sempre rappresentato l’antitesi del Patriarcato, ed è un movimento sociale e politico differente dal progetto patriarcale, con la sua continua ricerca di cambiamento del paradigma globale con alternative di sviluppo umano e di libertà tanto per le donne che per gli uomini.Ciononostante il nostro attuale contesto sociale non poggia su un percorso già compiuto ed acquisito, quanto piuttosto, come in una parabola discendente, sull’aspra recrudescenza dei cattivi rapporti fra donne e uomini, instaurando nuovi conflitti basati per lo più sul potere.Molti pensano che il potere femminile sia una sorta di azione prevaricatrice fine a sé stessa, portata avanti dalle donne con violenza ed aggressività, come se fosse un comportamento sterile che viene adottato per avere il predominio sugli uomini, bisognerebbe invece spostare l’asse del punto di vista ed osservare con lucidità ciò che, molto spesso, avviene in un rapporto fra un uomo ed una donna.Nei primi anni ’70 Carla Lonzi, nota critica d’arte che si occupò a fondo della questione femminile, scriveva:“Per uguaglianza della donna si intende il suo diritto a partecipare alla gestione del potere nella società, mediante il riconoscimento che essa possiede capacità uguali a quelle dell’uomo”.
IL FEMMINISMO DEGLI ANNI SETTANTA
Già, l’uguaglianza, la pari dignità e la pacifica convivenza.Invece sono, ancora, davvero pochi gli uomini che riconoscono alle donne, anche a quelle più vicine a loro, la pari dignità nell’esercizio delle scelte personali e familiari, ancora molto pochi quelli che riconoscono alle donne la capacità di attuare metodi lavorativi fondati sull’equa distribuzione degli incarichi e delle responsabilità.Ci troviamo, così, davanti ad un mondo del lavoro gestito quasi completamente da uomini, un mondo verso cui le donne non riescono ad avere un approccio sereno, ma devono attuare scelte molto dure, infatti per fare carriera spesso devono abbandonare l’idea di crearsi una famiglia o, se già ce l’hanno, lavorare più del doppio per contemperare entrambe le cose, perché anche in questo gli uomini non subentrano quasi mai nella condivisione dei ruoli familiari e non manlevano le proprie compagne da molti carichi.Il cosiddetto soffitto di cristallo non è un meraviglioso tetto che potremmo scegliere di avere nella nostra meravigliosa casa, ma è un concetto moderno che spiega i sentimenti tarpati delle donne che sperano di autodeterminarsi professionalmente e non ci riescono.Attraverso il soffitto che, come il cristallo, è trasparente riescono a vedere e capire dove potrebbero arrivare costruendo la propria carriera, ma rimangono bloccate dalla cultura maschile, che sfianca qualunque progettualità e impedisce l’ascesa ai vertici aziendali.E sono ancora davvero tanti, troppi, gli uomini che esercitano il proprio atavico predominio morale e fisico, impedendo alle donne di compiere scelte differenti, castigandole quando esse vorrebbero dar voce ai propri mutamenti cambiando stile di vita, un numero esagerato di uomini crede che sia meglio eliminarle piuttosto che confrontarsi con loro.E così la modernità ci regala un altro prototipo: l’uomo che uccide, in tal modo, secondo lui, annullando la donna può allontanare da sé ogni motivazione di conflitto, senza volere o sapere tener conto che qualsiasi rapporto interpersonale passa ad un livello superiore anche attraverso il lavoro di un confronto, pur se doloroso.Questo nuovo e “coraggioso” uomo, è assolutamente impreparato ad affrontare una crisi, personale e di coppia con modalità umane, e siccome dalla sua ha, molto spesso, una notevole forza fisica, superiore a quella che ha in genere una donna, si abbandona all’esercizio reiterato della violenza.
L’iter, in questi casi, è già definito: comincia con l’alzare la voce, intimando ordini e comandi, poi passa alle mani, menando ogni qualvolta le cose e le persone non siano come le vuole lui, e da ultimo, senza via né d’uscita né di ritorno, uccide, annullando, una volta per tutte, ogni possibilità di dialogo, riflessione o ricerca di soluzioni alternative.Non c’è niente da fare, per questo tipo di uomo la violenza perpetrata ai danni di una donna, è l’unica strada percorribile, il cui esito finale deve essere l’annullamento della donna stessa.Ma noi donne non avevamo già altri problemi?.…il giusto riconoscimento sociale, …l’acquisizione del controllo della nostra vita, ….la triste questione di scegliere se e come è possibile coniugare un lavoro con la creazione di una propria famiglia, …. e se ne aggiunge un altro ancora più grave…Oggi un numero esagerato di donne non sa se riuscirà a sopravvivere per poter continuare ad occuparsi delle proprie cose.Sempre Carla Lonzi scriveva, più di quarant’anni fa:“Non salterà il mondo se l’uomo non avrà più l’equilibrio psicologico basato sulla nostra sottomissione”. La Lonzi, e non solo lei, non avrebbe mai potuto immaginare che, invece, il mondo sarebbe saltato e che la lotta contro la sottomissione delle donne avrebbe generato milioni di uomini senza equilibrio, illusi di poter rinascere attraverso la violazione dei sentimenti e dei corpi delle donne.Se vogliamo cambiare ed affiancare alla cultura maschile anche la cultura femminile, tirando fuori dall’invisibilità la logica del dominio che assimila sia il dominatore che il dominato, è necessario fare alcuni passi importanti: occorre riconoscere la cultura maschile quale, a tutt’oggi, unico riferimento sociale, parlarne e tenere conto che la collettività è il luogo in cui risiede la categorizzazione e lo stigma e che la collettività è formata da uomini e da donne che, spesso in modo complice, giudicano altre donne indegne di essere libere ed autodeterminate.
Maria Rita Mallamaci, sociologa e criminologa, vice presidente nazionale dell’ASI – Associazione Sociologi