IMMIGRATI, BAMBINA DI TRE ANNI ORGOGLIOSA SI SENTIRSI ITALIANA
Yacin alza il tono della sua vocina per farsi ascoltare da quanti, immigrati e italiani (più di 400 persone: l’80% “forestieri”), siedono nell’ultima fila dell’Auditorium della Scuola Allievi della Polizia di Stato di Vibo Valentia. “Sono italiana”, ha più volte detto la piccola, nata nel nostro Paese da genitori senegalesi. La tiene in braccio Elmazi Hassan, originario del Marocco, da oltre trent’anni in Calabria. La frase della bambina di colore è stata un duro colpo ai pregiudizi che, da qualche tempo qui in Calabria, in Italia come nell’intera Europa, sono la potente arma nelle mani di quanti auspicano un ritorno ai nazionalismi che nel Novecento hanno ingrossato il fiume dell’odio umano e si sono resi responsabili di due guerre mondiali. Nella sede del seminario “Immigrazione in Calabria: oltre l’emergenza per costruire integrazione e sviluppo”, organizzato dall’Associazione Sociologi Italiani e dalle confederazioni sindacali regionali di CGIL – CISL – UIL, Yacin è giunta da Reggio Calabria, in compagnia della mamma e di tanti altri immigrati. Poco più di cento chilometri sulla Salerno – Reggio Calabria per partecipare, assieme ad altre centinaia di uomini e donne originari di altre regioni del mondo, ad un avvenimento mai registrato in Calabria: un confronto tra chi risiede in questa terra povera e ospitale e quanti, scappando alla misera, alla persecuzione e alle guerre, hanno deciso di ricominciare una nuova vita in una terra diversa da quella che li ha visti nascere.
Un confronto multiculturale, quello di Vibo Valentia, e soprattutto un’occasione per dare voce all’immigrato che, come continua a ripetere Papa Francesco, non è un peso ma una risorsa. Gli intervenuti sono rimasti equidistanti sia dalle forme xenofobe care alle destre, sia dal buonismo tout court delle sinistre. Vibo Valentia come punto di partenza, perché il dialogo proseguirà con altri appuntamenti regionali per giungere alla creazione di un modello condiviso di convivenza, tolleranza, di collaborazione nelle scelte di sviluppo del territorio e, soprattutto, di civile confronto tra culture diverse. Se tutto ciò non dovesse avvenire verrebbe a mancare la precondizione per avviare il cammino verso l’integrazione che non può e non deve restare una delle tante utopie della postmodernità. Il processo migratorio di massa, per certi versi, rappresenta una sorta di esercito industriale di riserva: materiale umano impiegato in quei comparti produttivi (agricolo, edile, domestico, dell’assistenza agli anziani e in altri settori che richiedono manodopera non qualificata o di fatica) caratterizzati da bassi salari che hanno azzerato il mercato delle braccia con il conseguente ricorso agli immigrati, anche attraverso forme di caporalato, che vengono sfruttati per poche decine di euro al giorno. E l’utilizzo degli immigrati provoca una pressione al ribasso sui salari dei lavoratori di un determinato comparto. Altro che integrazione, in questo caso siamo di fronte ad un vero e proprio sfruttamento. Materiale umano sempre pronto ad essere spremuto e paradossalmente indicato come il ladro di lavoro ai residenti. E i luoghi comuni – come “gli immigrati ci rubano il lavoro” – sono la causa del conflitto tra ultimi: autoctoni e immigrati.
L’iniziativa voluta dai sociologi dell’ASI e dai sindacati non è stata lo sfogatoio per lamentazioni e denunce, ma un vero e proprio scambio socio-culturale. Gli artefici di una giornata mai vissuta in Calabria prima del 29 ottobre 2016, in particolare, sono stati loro: Yacin e la sua mamma: una donna che quotidianamente fa l’ambulante al mercatino di piazza del Popolo di Reggio e alle 14, dopo aver smontato il banco di vendita, si dedica a lavori domestici che qui, in una terra di senza lavoro, non vuole fare più nessuno. Il marito della donna e papà della piccola Yacin lavora in altro luogo lontano dalla famiglia; Ibraima Diop che ha affrontato il tema dei matrimoni misti; Ahmed Berraou che ha relazionato sulla tutela e sul ruolo delle minoranze religiose; Elmazi Hassan che ha spiegato la sua scelta di rimanere in Italia dove è giunto più di trent’anni fa; Shyama Bokkory che ha affrontato l’argomento “Integrazione e/o interazione, quale soluzione?”. Interventi bilingue sono stati quelli di Serigne Diop Niang, Josephine Unogu, Chinyere Unogu, Ahmed Berraou, Mourtalla Lo, Talla Diakhoumpa, Mbaye Cisse, Jenny Lopez. Tutti hanno portato testimonianze sulla loro permanenza in Calabria e suggerito interventi di natura sociale per renderli parte attiva della comunità in cui vivono. Una dimostrazione di come l’immigrato può aiutare quanti giungono in Calabria l’ha offerta alla platea Marco Talarico, avvocato: la costituzione di un gruppo di Protezione Civile “Monteleone “di Briatico, formato dagli ospiti del centro diretto da Lelia Zangara.
Il dibattito a più voci, moderato da Antonio Latella (Presidente nazionale dell’ASI – Associazione Nazionale Sociologi), ha registrato gli interventi di Maurizio Bonanno (dirigente nazionale Asi), di Raffaele Mammoli e Sergio Pititto (delle segreterie regionali di Cgil e Cisl) e di Santo Biondo, segretario regionale dell’Uil. Tra gli altri oratori i rappresentanti di Anolf (Associazione oltre frontiere), dell’associazione Auser di Amantea con Roberto Aloe; e dell’Associazione Alone. Non meno interessanti i temi trattati da Davide Franceschiello e Franco Caccia (rispettivamente dirigente nazionale e presidente della Deputazione ASI Calabria): “Dall’improvvisazione alla programmazione partecipata” e “L’integrazione si ottiene con l’innovazione”. Un altro tema di grande attualità, “Il sistema Calabria dell’accoglienza tra presente e futuro”, è stato affrontato da Giovanni Manoccio, delegato del Presidente della Giunta Regionale della Calabria. Ha concluso i lavori mons. Peppino Fiorillo, in rappresentanza dell’Associazione Libera il cui intervento ha riguardato il rapporto tra religione e fratellanza. Perfetta l’organizzazione che ha registrato, tra i sociologi dell’ASI, la fattiva collaborazione di Fulvio D’Ascola, Marco Pavone (i quali assieme a Maria Lamrani – rappresentante degli immigrati – hanno curato la segreteria di lavori e i primi due anche l’Ufficio Stampa), di Sonia Angelisi, Antonella Bevacqua, Simona Mela, Giuseppe Bianco e Carmelo Caridi.
I sociologi dell’ASI e le confederazioni sindacali regionali di Cgil, Cisl, Uil ritengono indispensabile dare vita a un modello di civile convivenza tra la popolazione del luogo e gli immigrati: di quelli già presenti sul territorio e quanti – per effetto di questo fenomeno globale che secondo le previsioni interesserà l’Italia, l’Europa e, dunque la Calabria per i prossimi 40 anni- dopo lo sbarco e la prima accoglienza, per le quote stabilite dalla legge o per libera scelta, troveranno posto nei registri dell’anagrafe dei tanti comuni calabresi. Tra le proposte, quella dei sindacati, mira alla costituzione di un osservatorio sociale sull’immigrazione in Calabria.
Sul fenomeno dell’immigrazione, quotidianamente, leggiamo, ascoltiamo e vediamo notizie di sbarchi, morti, di minori non accompagnati, ma anche di proteste di comunità sparse sul territorio nazionale, Calabria compresa. Tralasciamo gli egoismi nazionalisti riconducibili all’Ungheria, alla Polonia, al muro di Calais, alla pilatesca politica della Commissione UE che, sempre più asservita al capitalismo finanziario, agli umori delle borse, all’interesse vitale di banche e multinazionali, non ha l’autorità di far ragionare i membri più riottosi, mentre riesce bene quanto si tratta di imporre sacrifici in nome del risanamento dei conti pubblici. E torniamo in Italia.
Gli episodi di Gorino, Bitonto, Galliera, San Giorgio di Piano, Minerbio, Fontanelice, e per quanto riguarda la Calabria Mangiatoriccio, Rosarno, Corigliano, Archi di Reggio, non sono dei semplici titoli di giornali o di apertura dei TG, ma il segnale preoccupante di una nuova emergenza che potrebbe provocare la rottura degli attuali equilibri di pacifica e civile convivenza. Duole vedere sindaci, che per l’occasione indossano la fascia tricolore, capeggiare proteste per impedire la collocazione di poche famiglie nel territorio del comune da loro governato. Personaggi – sindaci, capi di partito, parlamentari, consiglieri regionali, politicanti della domenica – che sfruttano il malcontento di una parte della popolazione per iniettare veleno razzista negli gangli vitali di piccoli e grandi territori. La frase ricorrente “ci rubano il lavoro”, richiama la frase di Albert Einstein “E’ più facile spezzare l’atomo che il pregiudizio”. Ma quale furto se i lavori affidati agli immigrati vengono rifiutati dagli autoctoni neanche se pagati in pepite d’oro? Luoghi comuni frantumati dalle dignitose testimonianze dei partecipanti alla manifestazione vibonese. Il racconto di Josephine Unogu, della comunità nigeriana (e non solo la sua testimonianza), è stata una nitida foto della condizione dell’immigrato e del contributo che fornisce nel rimpiazzare quanti, pur di non fare più determinati lavori, preferiscono rimanere nel grande bacino della disoccupazione. Un’attenta lettura della mappa degli immigrati presenti nel nostro Paese ha fatto il resto. I dati, infatti, dimostrano inequivocabilmente il contributo che l’attività lavorativa e imprenditoriale degli stranieri residenti in Italia fornisce al PIL, al fisco e al sistema pensionistico.
L’Italia è un paese di anziani, per questo la presenza di bambini come Yacin è un dono di Dio che si contrappone agli egoismi di un mondo ormai caratterizzato dall’irrefrenabile consumismo, dalla tecnocrazia, dal dominio delle nuove tecnologie, dalla dittatura del capitalismo del XXI secolo. L’opinione pubblica sta subendo l’influenza di quanti auspicano un ritorno al nazionalismo, e subisce passivamente l’arrogante propaganda di frange scioviniste che, secondo autorevoli studiosi di scienze sociali, fanno correre il rischio di una mutazione antropologica e il conseguente impoverimento dei nostri valori di solidarietà e di accoglienza. Questi segnali, secondo gli organizzatori del seminario di Vibo Valentia, vanno prima decodificati, per poi procedere al varo di un progetto di convivenza che tenga conto di diritti e doveri, sia dei residenti come degli immigrati, intanto per uscire dall’attuale emergenza e avviare così il lungo e difficile percorso d’integrazione con quanti sono portatori di culture diverse dalla nostra.Siamo tutti cittadini di un sistema globalizzato che produce solitudine, nuove povertà, conflitti tra civiltà, limita gli spazi di democrazia e partecipazione e nega finanche alcuni inalienabili diritti umani. Non abbiamo più certezze sul nostro futuro e come scriveva Norberto Bobbio “nessuno può pretendere di conoscere il destino della libertà del mondo”.
Ogni giorno apprendiamo di profughi che fuggono dai dispotismi, dalle guerre, dalle carestie, da un mondo privo di libertà in cui l’unica prospettiva è la fame. Questi popoli, ricordano i 40 milioni di europei che tra la fine dell’Ottocento e gli inizia del Novecento emigrarono in America, stanno scatenando una sorta di panico morale per il timore di rappresentare una minaccia al nostro benessere e allo stesso modello occidentale. Papa Francesco, in uno dei suoi tanti appelli sull’accoglienza dei migranti, ha chiesto al mondo di domandare “al Signore la grazia di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi e chiediamoci: chi ha pianto? Chi ha pianto oggi nel mondo?”. E Zygmunt Bauman – dalla cui opera “Stranieri alle porte” abbiamo tratto la considerazione del precedente periodo – sottolinea: “Noi siamo un solo pianeta, una sola umanità. Quali che siano gli ostacoli, e quale che sia la loro apparente enormità, la conoscenza reciproca e la fusione di orizzonti rimangono la via maestra per arrivare alla convenienza pacifica e vantaggiosa per tutti, collaborativa e solidale. Non ci sono alternative praticabili. La ‘crisi migratoria’ ci rivela l’attuale stato del mondo, il destino che abbiamo in comune”.
Allora perché non convincerci che gli immigrati sono degli esseri umani con le carte in regola per diventare nostri concittadini e che nel nostro futuro c’è posto per bambini come Yacin ? Dall’immigrazione regolare l’Italia potrebbe trarre grandi vantaggi.
Antonio Latella, giornalista e sociologo – Presidente nazionale dell’ASI – Associazione Sociologi Italiani
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