VOTO, TRA ASTENSIONISMO E RISCATTO SOCIALE
C’è solo un’apparente contraddizione tra l’interesse a candidarsi e l’indifferenza verso il voto
Le elezioni rappresentano un affaire per pochi, gli elettori diminuiscono ad ogni tornata elettorale ed ormai costituiscono solo la metà del Paese, quando va bene. Alle amministrative del 2015 la percentuale dei votanti è stata del 65%, alle regionali il 54%, mentre ai ballottaggi la percentuale è scesa addirittura al 47%. Ma c’è di peggio, l’attuale presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, è stato eletto solo dal 44% dei calabresi, con un impressionante meno 15% di votanti rispetto al turno precedente. Un fenomeno presente in Italia già nel diciannovesimo secolo, tanto che Leopoldo Ferrarini nel 1892 scrisse il saggio “Cause dell’astensionismo elettorale”. Nello stesso definiva i cittadini del giovane Regno d’Italia come renitenti all’esercizio del loro diritto di voto. Alle elezioni del 1886 parteciparono infatti solo 58,5 cittadini su cento, contro il 77% di Francia e Germania. In seguito le cose sono migliorate, tant’è che fino agli anni ’70 si sono registrate anche punte superiori al 90% di partecipazione. Poi la tendenza si è invertita fino a raggiungere i livelli, preoccupanti, citati. Un astensionismo incalzante e pericoloso che però non affligge affatto i dirigenti politici che, invero, risultano avvantaggiati dalla poca partecipazione. Sebbene i partiti politici e le loro organizzazioni sul territorio si stiano lentamente sfaldando, abbiano sempre meno presa sui cittadini, ed in particolare sulle nuove generazioni in virtù di una ormai marginale identificazione con il programma politico del partito di appartenenza, sebbene vi sia sempre più diffidenza e distacco (questione morale), vantano pur sempre un’organizzazione sul territorio che consente loro di affermare lo status quo quanto maggiore è il numero di astensionisti non organizzati. In altre parole: i non votanti organizzati in una forma di partito che li obbligasse al voto potrebbero davvero cambiare gli equilibri politici. Ecco perché sarebbe importante andare a votare, sempre e comunque, compresi i referendum. Da un lato quindi sempre più disaffezione nei confronti di questa politica e disinteresse nel cambiare le sorti del Paese con il voto, ma dall’altro un forte coinvolgimento come candidati. A Cosenza, oggi, ancora più di mille speranzosi candidati, uno ogni 60 elettori, un numero quasi invariato rispetto alle precedenti comunali del 2011, con una quarantina di voti a testa se si considera la percentuale di votanti. Come a dire passano gli anni, i cittadini sono sempre più inviperiti verso politici e politicanti, ma alla fine poi tanti vogliono fare proprio i politici !!! Se pensiamo poi che ognuno di questi candidati avrà almeno 40 parenti vuol dire che saranno coinvolti direttamente 40 mila persone al voto, ossia la percentuale di votanti espressa alle ultime amministrative. Alla fine le elezioni amministrative si riducono ad una “faida” nella quale prevalgono le famiglie più numerose e organizzate. Chi dispone dei voti certi di un grosso parentato che può resistere alla tentazione delle cento euro promesse in cambio di un voto potrà aspirare a diventare consigliere. Ma anche di un parentato non disposto a cedere alle lusinghe di un’altra candidatura proposta al solo scopo di frazionarne i voti. In caso contrario ci saranno due candidati in una sola famiglia che dovranno dividersi i voti, metodo “spaccafamiglie”. In ogni caso è concreta l’estrema polverizzazione del voto, creata ad arte per garantire il candidato destinato. Quest’ultimo sovrapponibile in ogni momento, fino alla sera prima dell’apertura dei seggi, tanti sono gli inciuci e gli interessi che vengono mossi. I consiglieri pertanto verranno scelti con precisione matematica nelle segreterie dei partiti e non nelle urne. Così a sedere sui banchi del governo cittadino saranno, più o meno, sempre gli stessi, quelli che hanno fatto da “ammasciata” una professione; quelli che sono in grado di “ricattare” il proprio partito al fine di ottenere l’appoggio sicuro. A tale scopo esistono gli “intermediari” del voto, altri “professionisti” che, in cambio a loro volta di una qualsiasi “sistemazione”, spostano i “loro” voti per supportare il candidato scelto dal partito. È logico che tutto questo “gioco” avviene alle spalle degli ignari riempilista, ai quali verrà promesso l’appoggio per ottimizzarne l’impegno funzionale al solo raggiungimento del quorum. “Hanno detto che mi aiutano” – “l’importante è non fare una brutta figura”, sono le frasi pronunciate dai riempilista, attratti da una promessa, nella maggior parte dei casi nemmeno pronunciata, ma solo subodorata Nessun riempilista può garantire alla domanda: “ma tu quanti voti tieni”, fatta ad arte per mettere in soggezione il candidato che avrà il pudore di non chiedere direttamente il “compenso”, ma dovrà aspettare di portare un numero di voti che, tranne in caso di elezione, non sarà mai sufficiente a garantirgli ciò che non gli è stato mai promesso. Un meccanismo collaudato nel tempo che il più delle volte finisce con un grazie e arrivederci e che invece premia solo pochi “eletti” in grado di spostare i voti a piacimento. Così che a Cosenza, in Calabria, in Italia chi “gestisce” consenso “siederà” da qualche parte, che sia uno scranno o una poltrona di un ente pubblico. Tutti sono consapevoli di questo gioco, schifato fino a non andare più a votare, ma pur sempre considerato un’opportunità in una situazione di malessere sociale. Non siamo dinanzi quindi ad una contraddizione, ma dinanzi all’espressione dello stesso sistema malato e corrotto che riduce i cittadini in quello stato di bisogno che non li rende liberi di prendere una decisione consapevole, ma obbligata, forzata dallo stato di necessità. Ecco allora che la candidatura diventa un’occasione per risolvere i problemi personali in diretta conseguenza dello stesso malessere che porta la gente a non andare a votare. L’interesse a candidarsi diventa allora direttamente proporzionale alla disaffezione al voto. Colleghi sociologi sostengono che la partecipazione politica di un individuo sia direttamente proporzionale alla sua posizione sociale: è tanto maggiore quanto più il soggetto si trova al centro della società per età, condizione occupazionale, status, livello culturale e posizione geografica. Quando l’individuo non riuscirà ad ottenere un ruolo sociale centrale prenderà le distanze da quell’ambito e diventerà astensionista di protesta. Forma molto simile all’astensionismo apatico di chi ha una generale indifferenza e disinteresse verso tutto il sistema. Atri motivi del perché la percentuale di astensionisti aumenta continuamente e che vanno ad aggiungersi alle forme di astensionismo fisiologico e tecnico. Per molti giovani però potrebbe essere anche un’esperienza comunque da provare, per farsi le ossa, per capire come funzionano i partiti e la mala politica, farsi un’idea diretta e non per sentito dire. Rendersi conto personalmente che le promesse politiche sono come le repliche dei film, sono buone solo per chi non le ha viste. L’importante è che i giovani siano consapevoli di andare incontro, nel 99% dei casi, a delle delusioni. Pochi, 1 su 100, possono avere un bacino di voti che possa consentire loro di avviarsi alla carriera politica. Solo il 2,5% dei candidati continuerà ad apprezzare il sistema nel quale sono coinvolti e dal quale sono attratti, il restante 97.5% ricomincerà a schifarlo e così tutti i parenti che non avranno avuto benefici dall’esperienza. Piero Gobetti, giornalista e politico di inizio secolo, scriveva nel 1919: “Guardate la vita politica da un punto di vista di onestà illimitata: ne provate disgusto; e il disgusto degenera in astensionismo, scherno, indifferenza per i supremi interessi”.
Davide Franceschiello – sociologo, dirigente nazionale dell’ASI ( Associazione Sociologi Italiani)