SOCIOLOGO, CHI TI HA FATTO NOSTRO GIUDICE?

 

LA C  SETTE sociologia onwebNoi transfughi? Ma ci faccia il piacere! Certe parole in libertà, scagliate come sassi contro chi non si lascia omologare, quasi sempre diventano un boomerang per chi le pronuncia.  La “diserzione”, come insegna la storia, spesso, non è vigliaccheria, ma coraggio, ribellione a certi metodi che comprimono gli spazi di democrazia, rendono difficile la dialettica interna e contribuiscono a mantenere intatto un certo potere oligarchico.Una buona parte dell’associazionismo culturale o professionale italiano ruota attorno a storiche leadership che col tempo si cristallizzano, impedendo non solo un rinnovamento anagrafico, ma anche la nascita di nuove strategie operative, la cui assenza diventa il maggiore ostacolo per leggere i fenomeni che interessano la società in cui viviamo.Le sfide della globalizzazione richiedono nuovi paradigmi (regole metodologiche, modelli esplicativi, strategie) per affrontare i problemi della società postindustriale che rendono sempre più precaria la coesione sociale. L’aver dato vita ad una nuova associazione professionale (l’ASI – Associazione Sociologi Italiani) non significa aver rinnegato un nostro recente passato che, pur avendo arricchito il nostro bagaglio personale e professione, negli ultimi due anni ha fatto maturare la consapevolezza che solo attraverso la creazione di una rete di esperti di progettazione sociale – con al centro la figura del sociologo- sarà possibile una migliore e più obiettiva lettura dei fatti sociali. E solo dopo sarà possibile progettare efficaci strategie d’intervento.

Il processo riformatorio non riguarda solo lo Stato. In Italia ci sono troppi privilegi in capo alle lobbie e alle corporazioni degli ordini professionali, alle forze sociali che difendono con le unghie e con i denti i privilegi acquisiti durante la società industriale. Lo stesso associazionismo professionale poggia su regole vetuste, anacronistiche che non producono effetti in una società, quella delle moderne tecnologie telematiche e informatiche, in continua trasformazione. Le fondamenta del nostro progetto – che forse qualcuno crede già fallito (gesti apotropaici a volontà!!!) – ci aiutano a credere in un’associazione di professionisti (l’Associazione Sociologi Italiani) che guardi alle sfide della modernità, ai giovani e al loro protagonismo, al superamento di quelle “incompatibilità culturali” che sono state la vera causa di un distacco tanto doloroso quanto necessario. Se chiamandoci transfughi qualcuno crede di frantumare la nostra coesione, di provocare la nostra invidia mostrandoci un medagliere del passato, di sventolare la bandiera sgualcita del riconoscimento ministeriale, di raccontarci di un esercito di iscritti dalla grande potenza bellica (all’80% composto da reduci privi finanche di nostalgie), si sbaglia di grosso. Non siamo per le guerre fratricide: sarebbe una strategia sciocca e da vecchi tromboni che girano con il bigliettino da visita in tasca. Alcuni illuminati ex compagni di viaggio, da quando abbiamo fondato una nuova formazione di sociologi, continuano a chiederci di andare avanti per questa nuova strada. Possono contarci. A quanti ci hanno chiamati transfughi dovrà essere chiara una cosa: non siamo disposti a subire la saccenteria di chi va in cerca della pagliuzza nell’altrui occhio. Nessuno ci ha fatto giudici ( …passo e chiudo).

Antonio Latella – giornalista e sociologo ( presidente ASI -Associazione Sociologi Italiani)


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