ASPETTI DELLA SICUREZZA SOCIALE
Generalmente nel nostro Paese si parla di sicurezza sociale quando si fa riferimento alla previdenza e assistenza sociale, attraverso l’intervento pubblico, che si contraddistingue per l’allargamento di talune garanzie a tutti i cittadini, dunque anche agli stranieri, a prescindere dal proprio status e ruolo sociale, e dunque possibilità economiche di ognuno. Queste forme di tutela verso la Persona trovano fondamento nei principi costituzionali [1] e investono perlopiù i seguenti settori: assistenza e prestazioni sanitarie; prestazioni concernenti maternità e paternità; infortuni sul lavoro e malattie professionali; disoccupazione; reddito minimo garantito; invalidità e prestazioni pensionistiche.Ma la domanda che pongo è: si può parlare di sicurezza sociale in una prospettiva assai più ampia del significato fino ad oggi attribuito e appena richiamato? Dal mio punto di vista non solo è possibile, ma addirittura essenziale, o comunque auspicabile. Questo proprio riguardo all’esegesi della definizione sicurezza sociale e dunque i fini cui è rivolta, cioè il benessere della persona, e che dunque chiama in causa anche quel diritto inalienabile sancito dall’articolo 32 della Costituzione che riguarda giustappunto la salute, definita, dall’Organizzazione Mondiale di Sanità (1948), come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale », non quindi solo assenza di malattia o infermità.
Ebbene, in questo caso, che più riguarda il presente contributo, la sicurezza sociale può essere anche intesa come quell’insieme di provvedimenti finalizzati ad assicurare a tutti ogni mezzo che risulti sufficiente e necessario al fine di soddisfare i bisogni della vita in ogni momento dell’esistenza, e garantire quindi la difesa contro particolari tipologie di rischio in grado di danneggiare sia la sfera individuale (psico-fisica), quanto quella economica.Determinante da questo punto di vista è la comunicazione, ossia: se da un lato la stessa rappresenta un formidabile strumento di diffusione delle paure, viceversa, dall’altro, se adeguatamente gestita, può consentire una sensibile riduzione del livello di tensione e di ansia collettiva.Scrive Dominici: «La più volte ribadita centralità della comunicazione, all’interno del processo di globalizzazione e della stessa società del rischio, trova ulteriori conferme: i media – attualmente, la Grande Rete su tutti – sono in grado di determinare le condizioni dell’informazione e della percezione del mondo da parte degli attori sociali coinvolti nel flusso comunicativo globale» (cfr. Dominici, 2011, p. 161).Di fatto, a mio modesto avviso, sempre più spesso i mezzi di comunicazione di massa nel trattare le notizie di cronaca giudiziaria oltrepassano quella doverosa linea di confine fino a raggiungere preoccupanti elementi di spettacolarizzazione, ai limiti della legalità, aggiungo, e, se posso, del patologico.
Ebbene, citando (1941) il sociologo statunitense Paul Lazarsfeld (1901-1976), secondo cui chi usa i mezzi della comunicazione di massa per qualunque scopo ha la necessità di «ricercare il modo migliore per far si che gli strumenti stessi siano meglio conosciuti e quindi utilizzati in maniera più proficua», parrebbe ancor più evidente come il dovere di cronaca non dovrebbe traboccare al di fuori della comune ragionevolezza (cfr. cit. in Abruzzese-Mancini, 2008, p. 177).Quindi, sicurezza sociale e prevenzione del crimine da intendere come analisi delle condizioni che definiscono il rischio della devianza e modelli decisionali che utilizzano paradigmi di difesa adeguati ad ogni circostanza. Ma si parla anche di meccanismi autoregolativi, cioè a dire di modalità che permettono alla persona di gestire le diverse variabili e i termini di utilizzo nel contesto di vita. Una sorta di autotutela basata sulla conoscenza e sulla consapevolezza, concetti ormai acclarati all’interno degli studi sociologici.Pertanto, il concetto di sicurezza soggettivamente percepita si riferisce alla capacità che ognuno si riconosce nel poter controllare e prevenire gli eventi, ciò al fine di assicurare la propria stabilità, ma vista la realistica impossibilità di perseguire pienamente questo fine, vengono messi in moto meccanismi difensivi volti ad isolare quanto percepito come minaccioso, un po’ così come avviene con i processi di etichettamento, cioè allontanare da se quelle persone che assumono un comportamento non conforme, altrimenti detto deviante, rispetto al modello di riferimento socialmente accettato e condiviso.
Due dei temi di estrema attualità legati alla sicurezza, fra tanti esempi che potrei portare, riguardano lo stalking e il cosiddetto furto d’identità. Nel primo caso trattasi di un comportamento persecutorio di un soggetto verso una vittima designata, ma che a differenza delle minacce (le quali si caratterizzano fin dall’inizio per rabbia e aggressività) tende, almeno nella fase iniziale, ad essere più latente, che può arrivare tuttavia anche ad un’azione mirata alla soppressione fisica, cioè all’omicidio della medesima vittima.A tale proposito si conoscono almeno tre tipologie del fenomeno: 1) lo stalking domestico o intra-familiare, è il caso di ex fidanzati o consorti, nel quale lo stalker da una sorta di aut-aut alla propria vittima, per esempio: o mia o di nessun altro; 2) lo stalking non domestico o extra-familiare, a volte persecutore e vittima non si conoscono, la quale in questo caso viene scelta casualmente e vessata attraverso telefonate o altre comunicazioni anonime. Oppure persona nota e attaccata con le metodiche di cui sopra per mera vendetta personale a seguito di presunti o reali torti subiti; 3) lo stalking erotomane, si manifesta per opera di un soggetto che ad insaputa della vittima ha idealizzato nella sua mente un amore basato sulla fantasia, spesso quale esaltazione morbosa e ossessiva degli impulsi sessuali, ma a volte anche di natura meramente spirituale (cfr. Picozzi, 2008).
Nel secondo caso, furto di identità, trattasi di crimini strettamente legati alla sottrazione della propria identità e altri dati, come ad esempio quelli relativi alla carta di credito piuttosto che del numero di conto corrente bancario. Ma anche dei dati carpiti con artifizio e raggiro attraverso una telefonata il cui male intenzionato si spaccia per un addetto bancario piuttosto che per un operatore del servizio della telefonia, del gas, eccetera. Tale attività, evidentemente illecita, è denominata phishing, ovvero spillaggio di informazioni sensibili che in ambito informatico sfrutta la tecnica di ingegneria sociale, cioè a dire lo studio del comportamento di una persona al fine di carpire dati ed utilizzarli per ottenere l’accesso a informazioni riservate, mediante appunto l’utilizzo dei sistemi di comunicazioni elettroniche come email o messaggi istantanei (chat), oppure sms telefonici.Per esempio, si è stimato «che nel 2004, circa 57 milioni di persone sono state bersaglio del phishing. Soltanto nel giugno 2004 ci sono stati 1422 attacchi phishing. Il numero degli attacchi nel 2004 è aumentato rispetto a quelli del 2003 con una stima del 1,126%. Circa il 19% dei destinatari ha aperto l’e-mail e cliccato sul link. Circa il 3-5% dei riceventi ha divulgato le proprie informazioni finanziarie» (cfr. Picozzi, 2008, p. 434).
Scrive Curti: «La ricerca criminologica è da sempre stata fin troppo impegnata nella spiegazione delle cause che spingono un soggetto a commettere un reato, e, al contrario, fin troppo poco volta allo studio dei metodi e degli strumenti adatti a ridurre la criminalità e a diminuire il senso di insicurezza sociale» (cfr. Curti, 2013, in Federici, p. 82).Concludo affermando che, sempre dal mio punto di vista, la politica criminale, almeno quella parte di tale disciplina che pone gli obiettivi in materia di prevenzione della criminalità, dovrebbe tendere verso una direzione di investimento di denaro pubblico finalizzato soprattutto al reale adempimento di quanto stabilito dall’articolo 27 della Costituzione, nella parte in cui è scritto: «Le pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato».Solo così, credo, con ragionevole certezza, possa ridursi il reiterare delle azioni delittuose per mano di chi delinque per tendenza, magari perché non ha percezione di una seria certezza della pena, oppure perché la società, èrgo le Istituzioni democratiche, non sono in grado di offrire loro un futuro diverso.
Dott. Marco LILLI
Sociologo-Criminologo
NOTE
[1] Estratto della Carta costituzionale (1948).
Articolo 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
Articolo 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Articolo 32: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
Articolo 35: «La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero».
Articolo 41: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».
BIBLIOGRAFIA
Abruzzese A. Mancini P. (2008) Sociologie della comunicazione, Roma-Bari, Laterza.
Dominici P. (2011) La comunicazione nella società ipercomplessa, Milano, Angeli.
Federici M.C. (2013) (a cura di) La sicurezza umana: un paradigma sociologico, Milano, Angeli.
Picozzi M. (2008) (a cura di) Crime Classification Manual, Torino, CSE.