I giovani e la loro condizione di vulnerabilità

 

 

FRANCESCO RAO 26 settembre 2015La condizione giovanile rappresenta una delle dinamiche più interessanti e avvincenti tra quelle studiate dalla sociologia. Pur essendo questa disciplina apparentemente giovane, pone l’oggetto del suo studio nel vivo delle svariate azioni della nostra esistenza dai rapporti interpersonali alle scelte di vita importanti ed anche in quelle apparentemente marginali che, in ogni caso, rientrano in quell’agire umano che scandisce la quotidianità del pianeta.

In questa sede, grazie alle attività sviluppate durante questo convegno osserveremo un tema che sta molto a cuore sia a noi sociologi ma anche alla Comunità, intesa in questo caso come soggetto che attende con trepidazione di vedere e vivere l’entusiasmo delle giovani generazioni. La loro energia sarà indispensabile per  creare quella reazione necessaria ad affrontare la difficoltà dei tempi che stiamo vivendo.  Proviamo a entrare nel merito della discussione grazie al titolo della relazione che mi è stata assegnata.

Spesse volte si parla dei giovani in modo superficiale, additandoli come irresponsabili e viziati, senza però comprendere le loro difficoltà e senza saper interpretare le loro insicurezze, generate principalmente da altre generazioni, intenti a non reiterare sui propri figli le difficoltà vissute e sottraendoli quotidianamente al concetto di “sacrificio” e “meritocrazia”.

Negli ultimi venti anni abbiamo assistito a una progressiva evoluzione dei rapporti genitori/figli, frutto del superamento del modello definito famiglia normativa, conosciuta da molti di noi da quell’autorevolezza genitoriale che è stata appunto superata grazie alla diffusione di un nuovo modello definito famiglia affettiva. In quest’ultimo caso la rigidità educativa è sostituita dalla “preoccupazione” costante dei genitori nei confronti dei loro figli attraverso l’acquisto di costosi smartphone, acquistati anche a rate, vestiti griffati, vacanze, microcar senza dimenticare la ormai indispensabile necessità della linea internet ultraveloce. Sarà scontato il passaggio in secondo piano  dello svolgimento del principale ruolo genitoriale e cioè “occuparsi” delle emozioni del proprio figlio o figlia attraverso  l’ascolto delle loro insicurezze ed il confronto costante e pacato. Personalmente sono convinto che tra  le prime cause della “vulnerabilità giovanile”, rientrino proprio questi mutamenti vissuti dai nostri giovani principalmente all’interno della famiglia.

Naturalmente ci sono state moltissime cause che hanno generato questi cambiamenti. Per semplicità discorsiva e per non tediarvi, in questa sede vorrei elencarne semplicemente tre:

  1. L’inserimento della donna nel mercato del lavoro, attraverso una partecipazione molto più estesa, qualificata e produttiva;
  2. Il progressivo deterioramento del sistema scuola in Italia;
  3. La diffusione di una crisi economica e sociale fortemente aggressiva.

 

A questo punto possiamo sviluppare una breve analisi seguendo l’ordine sopraindicato, premettendo naturalmente il pieno rispetto per le pari opportunità e riconoscendone i diritti e le capacità dell’universo femminile. Vi sono però contrappesi evidenti nella qualità della crescita dei nostri ragazzi a partire da quando la crescente occupazione femminile ha contribuito a far segnare il passo in ambito familiare proprio alle donne sottraendole dal prezioso ed insostituibile ruolo di mamma a tempo pieno.                Concorderete sicuramente quanto larga sia diventata l’azione di “controllo” dei genitori sui doveri scolastici dei figli, sulla quantità e sulla qualità di televisione guardata, sulla quantità di vita da social  network praticata ogni pomeriggio, per non dire ogni giorno, tralasciando il compito di seguire la crescita non solo anagrafica ma anche culturale degli adolescenti.

Recentemente una serie di provvedimenti normativi hanno tenuto in fortissima considerazione i “doveri familiari” introducendo la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e rendendo maggiormente flessibile l’occupazione di entrambe i genitori per ritagliare del tempo a favore dei propri figli. Come già detto precedentemente, l’incremento dei consumi e di conseguenza l’aumento del costo della vita, non hanno lasciato scampo alle famiglie che vivono attualmente nel segmento sociale medio/basso ponendo di conseguenza un fortissimo paletto: per avere quanto desideri dovrai lavorare di più. Il problema reale, come ben saputo dagli economisti, non viene risolto attraverso l’incremento del lavoro. In questo caso è vero, si guadagnerà di più, ma inevitabilmente si spenderà in proporzione al guadagno ottenuto vivendo soltanto una traslazione del vincolo di bilancio della famiglia in avanti ma senza riuscire ad accumulare risparmi, vero e proprio obiettivo di qualsiasi essere umano indispensabile a costruire un pizzico di tranquillità futura. Non è necessario scomodare l’economia Keynesiana per comprendere come la famiglia sia caduta nella “trappola” del consumismo senza possibilità di uscita alcuna. Anche queste cause hanno portato ad un indebitamento privo di precedenti da parte di una nutrita percentuale di nuclei familiari, impegnando le buste paga per l’acquisto rateale di  lavastoviglie, auto, viaggi e lasciando il frigorifero, vero indicatore della ricchezza di una famiglia vuoto di generi alimentari. A ciò si aggiunge la crisi economica di cui tutti ormai ne abbiamo conoscenza al punto tale da generare la conclamata impossibilità di garantire persino l’acquisto dei libri per le scuole e l’eventuale prosieguo universitario di moltissimi ragazzi, aumentando il fenomeno di dispersione scolastica qualitativa e la conseguente marginalità occupazionale. A prova di ciò si può notare l’incremento di scuole private per il recupero di anni scolastici e di università telematiche, volendo riflettere più a fondo si potrebbero analizzare i dati dei test per l’ingresso alla Facoltà di medicina dell’Università di Catanzaro per verificare il risultato della colonna 2, cultura generale, nella media dell’insufficienza.

Per semplicissima curiosità, la tabella sotto riportata dimostra chiaramente quanto sia importante la conoscenza e la lotta all’analfabetismo. Difatti, come si potrà notare, gli stati che oggi sono economicamente avanti, hanno avuto in passato performance culturali più alte. Come potremo notare, il dato odierno desta serie preoccupazioni.

Estratto dal Libro-Agenda “FINO AL 2001 E..RITORNO” di Francomputer ( Copyright – deposito SIAE))
Analfabetismo
Anno Italia Spag Ger-Aus Sviz Franc Sv-N-D Be-Ol- Inghilt (USA) (Giapp)
1861 74,7 75 20 19 47 10 45 31 20 36
1880 47,5 55 2 2 17 1 22 14 17 29
1900 48,6 51 1 1 17 0,5 19 3 11 12
1920 35,2 49 1 1 14 0,5 15 3 8 5
1941 13,8 17 1 1 12 0,5 11 2 5 4
1950 12,9 16 1 1 4 0,5 3 2 3 2
1960 8,3 12 1 1 3 0,5 2 1 2 1
1970 5,2 5,9 1 0,5 2 0,5 1 0,5 1 1
1980 3,1 3,4 0,5 0,3 0,4 0,5 0,4 0,4 1 1
1990 2,9 2,8 0,2 0,2 0,3 0,3 0,3 0,3 0,5 0,2
anni di freq.scuola 7,6 6,9 11,6 11,6 12 11,4 11,3 11,7 12,4 10,8

 

Tra il 20% e il 25% degli studenti che oggi in Italia escono dalla scuola media inferiore non sa veramente leggere, scrivere, contare. Su circa 57 milioni di Italiani poco più di 3.500.000 sono forniti di laurea, 14.000.000 di titolo medio superiore, 16.500.000 di scuola media e ben 22.500.000 sono privi di titoli di studio o possiedono, al massimo, la licenza elementare. In percentuale, il 39,2% dei nostri concittadini sono fuori della Costituzione che, come si sa, prevede l’obbligo del possesso di almeno otto anni di scolarità. Il 33% della popolazione (7,5% di laureati e 25,85% di diplomati) è in grado di affrontare le sfide della società contemporanea in quanto ha la formazione di base necessaria. Il 66% (30,12% con licenza media, 36,52% con semplice licenza elementare) dispone di una formazione insufficiente per partecipare informata allo sviluppo della società della conoscenza. Si tratta di 36 milioni di italiani da considerare analfabeti totali, semi-analfabeti o analfabeti di ritorno, comunque non in grado di affacciarsi sul mondo del lavoro e difendersi di fronte ai continui cambiamenti che lo hanno investito. Secondo dati pubblicati nel 2005, quasi sei milioni di italiani sono totalmente analfabeti. Rappresentano il 12% della popolazione contro il 7,5% dei laureati. L’Italia è fanalino di coda tra i fra i 30 Paesi più istruiti. Solo il Portogallo e il Messico hanno un tasso più elevato.
Senza alcun titolo di studio (o in possesso della sola licenza elementare) è invece il 36,52% della popolazione, circa 20 milioni sui 53 censiti nel 2001. Questa popolazione è considerata come ana-alfabeta, cioè del tutto analfabeta o appena alfabeta. Questa situazione è stazionaria da 10 anni. La situazione è più grave dal centro fino al sud e alle isole. Basilicata, Calabria, Molise, Sicilia, Puglia, Abruzzo, Campania, Sardegna, Umbria sono regioni con una popolazione analfabeta, senza alcun titolo di studio, che supera l’8%. A Catania gli analfabeti raggiungono l’8,4%, ma anche a Palermo, Bari e Napoli si ritrovano percentuali di poco inferiori. Interessante notare come alcune di queste regioni hanno un alto tasso di laureati (la Calabria in % ha più laureati della Lombardia o del Piemonte)”.

fonte http://www.gildavenezia.it/docs/Archivio/2005/nov2005/UNLA.htm

Infine, non possiamo evitare di soffermarci sulle cause dell’attuale crisi economica a condizione che ci sia la volontà di aprire uno sguardo critico cogliendo la grande trasformazione che ci ha avvolto forse cogliendo di sorpresa prima il mondo politico e poi il tessuto sociale. Sarò breve e spero di poter lasciare sufficienti indizi per uno sviluppo soggettivo delle dinamiche affrontate.

In quanti ci siamo accorti che il mercato del lavoro è cambiato radicalmente? Bastano due esempi per entrare nel merito. Abbiamo mai considerato la modernità delle nostre auto e  la tecnologia dei riscaldamenti di casa? Vi chiederete il perché? Semplice, lo sviluppo della tecnologia a costretto i vecchi artigiani e meccanici a chiudere in quanto oggi necessitano tecnici specializzati per riparare le nostre auto o i nostri impianti di climatizzazione. Un giorno probabilmente non compreremo più l’autovettura, faremo un contratto di locazione a medio o a lungo termine riservandoci di sostituire l’auto quando meglio crediamo e lasciando gli oneri di manutenzione a carico di chi ci fornirà il mezzo. Sicuramente sarà la stessa cosa per i computer di casa, per gli smartphone, per i climatizzatori, per i mobili. L’era dell’accesso, come definita da Jeremy Rifklin, ci farà avere tutto ciò che desideriamo non per poter godere di quel bene ma per essere costretti a lavorare, a produrre.

La fragilità dei nostri ragazzi, l’ingessata struttura scolastica vigente in Italia, una debolissima struttura sociale qual è l’attuale segmento familiare, non potrà resistere l’urto della modernità ormai in piena corsa e decisa a travolgere definitivamente chi vive nella marginalità sociale perché non ha potuto studiare bene l’inglese o l’arabo, perché ha seguito i desideri romantici della cultura umanistica destinata ad essere sotterrata dalla scientificità imperante della tecnologia.

Nel nostro Meridione ancora viviamo una qualità della vita ottima, pur sommersi da mille difficoltà come già detto. Possiamo contare sulla forza delle relazioni sociali, dell’amicizia, dell’ambiente che ci circonda, vero  valore aggiunto utilizzabile dai giovani per superare le incertezze occupazionali e per dare un senso alla propria vita, attraverso la riscoperta dei valori e dei lavori che hanno retto per millenni l’umanità.

Occorre però la concretezza e soprattutto un pizzico di buonsenso da parte degli adulti per “occuparsi” in modo più costante dei giovani, delle loro emozioni e dei loro sogni.

Lo sviluppo e la tecnologia potranno convivere anche in una società fatta di valori e relazioni. Oggi il Sindaco, ha voluto aprire una finestra a favore di questo tipo di riscatto ed io personalmente e credo tutti noi siamo ben felici di spendere un nostro pensiero a tal fine.

Francesco Rao – sociologo ANS

 

San Mango d’Aquino, 26 settembre 2015


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