POLSI, TERRA SPESSO GIUDICATA E SOMMARIAMENTE CONDANNATA

POLSI Funzione religiosaQuesta è una “Terra spesso giudicata e sommariamente condannata”. Il significato di questa frase – estrapolata dall’omelia del vescovo di Locri, Francesco Oliva, durante la messa per le celebrazioni della Madonna di Polsi –  è un atto d’accusa  nei confronti di un modello di società che  non riesce a discernere il bene dal male. E si lascia andare in giudizi eterodiretti che provocano gravi danni al territorio e rubano alla gente la naturale onorabilità di cittadino. Diventa così difficile ipotizzare che Polsi possa   diventare  l’occasione per restituire alla gente  di Calabria  la dignità rubata degli   stereotipi:  partoriti, in questa terra  come in Valle d’Aosta  (e non solo ai piedi delle Alpi),  dal ventre di certi benpensanti  dal comportamento farisaico.  In questo santuario Mariano, incastonato tra i monti dell’Aspromonte, non solo il 2 settembre di ogni anno, si registra la fusione  tra  religiosità popolare, fede, tradizione, aggregazione, confronto tra culture diverse. Polsi è anche un’occasione offerta al commercio di ricevere una boccata d’ossigeno che aiuta il sostentamento di decine di famiglie  che, qui più che altrove, risentono della crisi economica  che investe il Paese. Per la Calabria, regione più povera d’Europa, siffatta occasione non può essere ignorata in nome di quel pregiudizio chiamato ‘ndrangheta.

Lo scorso 2 settembre sono stato a Polsi, per una questione istituzionale più che religiosa o di fede. E mi sono chiesto, ancora una volta, cosa spinga la gente di diversa estrazione sociale, culturale ed economica, a sottoporsi a   marce forzate, estenuanti  pur di rivivere un tradizionale e grande momento di aggregazione. Questa fiumana di gente che eleva suppliche alla Vergine della montagna risalda le radici di un popolo  che  resiste al nuovo ordine imposto dalla  società liquido moderna.

In quel fazzoletto di terra, migliaia di pellegrini, al tempo stesso, sono spettatori e attori di una rappresentazione secolare che affonda le radici nella religiosità popolare. Sono tanti gli elementi che conferiscono all’avvenimento settembrino di Polsi  la policromia di un grande spaccato di cristianità. Sotto quel cielo azzurro, “macchiato” da nuvole bianche, il nostro essere non si rapporta con la materia e va oltre la fisicità per diventare un punto di unione tra il creato e lo spirito. Ciò conferma che l’uomo è per natura un essere religioso: ha sete d’infinito, di qualcosa di assoluto e trascendentale.

PIPARI SURACI C LEONE SURACI M   1Polsi negli ultimi vent’anni è cambiata in positivo. L’incisiva azione della Chiesa cattolica è stata un efficace antidoto per guarire la spiritualità della gente  minacciata dal ritorno di arcaiche forme di paganesimo.  Oggi  questa istituzione religiosa  è impegnata  su due fronti: impedire la costruzione di nuovi stereotipi negativi  rispetto alla realtà  del luogo;  resistere  all’ondata di secolarizzazione  che, analogamente a quanto sta avvenendo nella società occidentalizzata,  rappresenta una  delle cause della ricerca, soprattutto nei giovani, di un dio personale.  Ma la Chiesa calabrese, sospettata, di essere tollerante agli inchini nelle processioni, nello spirito del nuovo corso avviato da Papa Francesco,  si sta guardando al suo interno  e all’ombra dei suoi campanili .

Rispetto alle grandi narrazioni del Novecento, la realtà odierna sbiadisce intere pagine di antologia scritte con l’inchiostro del pregiudizio  e del razzismo, trascritte da rapporti di polizia giudiziaria che non sempre hanno trovato conclusioni coercitive nei confronti dei presunti rei.

Non è nostra intenzione, assolutamente, negare  che, in determinati momenti della storia  criminale della Calabria, la ‘ndrangheta non abbia approfittato della festa della Madonna della Montagna per  celebrare riti malavitosi,  summit per  il varo  di strategie  di potere e di collusione con la politica, oppure  decisioni “giurisdizionali” per condanne inappellabili.

Ma lontano  dall’altare e da quanto  fa parte delle strutture del santuario.

Molti scrivono o parlano di Polsi senza aver mai avuto un approccio serio con questa realtà.  Si giudica per sentito dire.  Le tante volte  che, soprattutto come cronista, ho avuto la possibilità di recarmi in questo luogo affascinante e misterioso ho sempre evitato di formulare giudizi, limitandomi ad osservare, studiare i comportamenti anche  dal punto di vista antropologico. In questo crocevia di culture, oggi, come in passato, si può ballare la tarantella osservando antiche regole, anche se depurate;  si può ancora mangiare la carne di capra non più macellata nel torrente, situato nella parte bassa  di questo sito, il cui sangue si mescolava, arrossandola, con la candida acqua  di sorgiva;  ancora oggi si può assistere al gioco della morra che i giovani praticano senza mai stancarsi: con accanimento  che li fa apparire tanti invasati.  Il tutto per vincere una, dieci, cento bottiglie di birra. Il gioco della morra non è assolutamente diverso dal calcio: in entrambe le discipline, innanzitutto, prevale l’agonismo e, in alcuni frangenti, purtroppo, anche qualche scorrettezza. Nella competizione il fine rimane sempre la vittoria.

POLSI TARANTELLACome non ricordare il fascino della vigilia della festa:  nel silenzio della notte,  tra buio e plenilunio,  in tutte  le case  giunge  il ritmo combinato di organetto e tamburello, mentre in lontananza  figure di ambo i sessi, sfiorate  dalla poca luce artificiale,  ripropongono, come in una moviola,  i gesti  di un ballo  che continua a fare parte dalla storia e del folclore di questa terra. E nella penombra brillano gli occhi languidi  di ragazze che si fanno corteggiare o che spediscono sms  al loro moroso lontano. Anche Polsi è stata contagiata delle nuove tecnologie della comunicazione: Ipad, Iphon che,  con  le loro tante applicazioni, a tratti,    ci fanno sentire soli tra la folla.

O ancora: il pianto o il vociare di bambini giunti fin lassù con i genitori e ospitati in capanne di frasche, sotto qualche tenda, nei camper o nell’autovettura, che attendono il giorno della festa. Il pane con la salsiccia, la parmigiana portata da casa, gli ultimi fiaschi di  vino della vendemmia dell’anno prima.

A testimoniare  il cambiamento della festa della Madonna della Montagna sono alcuni miei vecchi amici poliziotti: 40 anni di Squadra mobile sulla spalle ed oggi protagonisti   dell’associazione  di volontariato  Vecchia Guardia di Pubblica Sicurezza (“ V.G. P.S.”) giunti a Polsi  per mettere la loro esperienza a servizio  dell’organizzazione dell’evento. Enzo, Peppe, Mimmo, Carlo: storici testimoni di un passato che va dal summit di Moltalto (1969) a oggi. Li conosco, li stimo, credo in loro.

AMICI DELLA CROCE ROSSA                            POLSI BANCHERELLE                                          DSC_0495Non conosco, invece, la giornalista Marika Demaria, referente di Libera della Valle d’Aosta, la quale, attraverso Fb, partecipa la sua indignazione per  la messa in onore della Madonna di Polsi, celebrata nella chiesa di Sant’Anselmo del suo luogo di residenza, chiosando poi ( almeno da quanto riportano gli organi di stampa) “La Madonna di Polsi, in Aspromonte, è considerato  uno dei ‘luoghi sacri’ della ‘ndrangheta”. Alla dottoressa Demaria vorrei chiedere quanti posti di lavoro regolari ha creato Libera dall’utilizzo dei beni confiscati alla mafia? Semplice curiosità che, assolutamente, non mette in dubbio la meritoria opera della creatura di don Ciotti.

Nel giorno della messa i protagonisti sono i giovani: i papà che portano sulle spalle i loro figlioletti, le mamme che tengono per mano i più grandicelli, le donne di una certa età, le anziane, persone che a stento riescono a camminare e che, per evitare gli effetti del sole,  trovano ristoro all’ombra dei   pochi  alberi situati nel perimetro della piazza che ospita l’anfiteatro.

Polsi, secondo la mia convinzione, non è la terra della ‘ndrangheta come tante convenzionali  olografie letterarie, sociologiche e giornalistiche utilizzano per  raccontare dinamiche che  vedono,  o avrebbero visto, la  profanazione  di questo incantevole  luogo aspromontano. Anche mercoledì scorso – come in passato Bregantini e Fiorini Morosini,- da questa enclave, mons. Francesco Oliva ha lanciato  un messaggio  di misericordia, di deposizione  delle armi e della vendetta e dell’odio, di  gioia alla conciliazione e al perdono, di  bellezza per la riconquista della dignità perduta.  E non importa se il capo della diocesi di Locri – Gerace, nella sua omelia, non avrebbe mai pronunciato la parola ‘ndrangheta. Se fosse abolito  questo termine   – mi diceva oggi un bravo primario ospedaliero – perderemmo migliaia di posti di lavoro. E in un mondo flessibile e globalizzato diventerebbe davvero difficile il futuro di certi scrittori, di certi giornalisti, di certi opinion leader e, ovviamente, di tanti professionisti dell’antimafia.

Antonio Latella  – giornalista e sociologo  ( Presidente Dipartimento Calabria dell’Associazione Nazionale Sociologi)


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