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I GIORNI DELLA MEMORIA

Matteo Spagnuolo piccola

“Ricordare le donne nella Shoah significa mantenere  viva l’ attenzione e rendere omaggio al sacrificio silenzioso di una parte numerosa delle vittime dell’ olocausto. Le donne rappresentarono oltre il 50 per cento delle vittime deportate e furono  oggetto di un accanimento spietato da parte dei nazisti, in quanto nel progetto della distruzione di massa di una razza era importante colpire direttamente chi generava. Il genocidio si perpetuò quindi agendo innanzitutto sulla caratteristica femminile per eccellenza la maternità, operando ogni sorta di sopruso e di tortura sia sul corpo che sulla psiche delle donne  che furono sottoposte ad esperimenti di genetica e non solo crudeli ed efferrati.La violazione  non avvenne solo attraverso la disumanizzazione della persona per la fame, il lavoro, la cattive condizioni igieniche e la morte ma la condizione femminile divenne oggetto di violenze e di molestie in primis il denudamento in pubblico.Le maternità violate, una gravidanza evidente era sinonimo di morte certa, gli aborti obbligati, la forza di genere che diviene vulnerabilità, la celebrazione della vita che diviene morte, come si sopravvive? Trovando la forza dentro di sé e mantenendo viva, per quanto poteva essere possibile proprio la propria femminilità, resiste alla perdita dell’ identità e alla disumanizzazione del campo di concentramento non cedendo all’ abiezione di essere ridotte a cavie di laboratorio.

Molte sono le donne che hanno cambiato il mondo, lo hanno cambiato nel silenzio di una vita apparentemente anonima, animata invece da un forte  senso critico  e da un decisionismo eroico in una guerra   combattuta quotidianamente esorcizzando il presente dando un senso al futuro e costruendolo utilizzando la memoria del passato .Esercizio utile è usare la memoria non solo per  correttezza storica, la Shoah è un evento inconfutabile, ma soprattutto per dovere civile, etico e morale, cosa rimane del sacrificio di tante donne tramandato attraverso i racconti delle loro esperienze, di tante vite spezzate, di tanti mondi violati?Il raccontarsi agli altri esprime il bisogno di condividere la propria esperienza e di coinvolgere chi ascolta donando una parte di sé ma cosa rimane di questo dono se non una memoria ferita da un errore reiterato, da un insegnamento non colto e valorizzato?Quanti affronti alla vita vengono ancora perpetuati nell’ indifferenza collettiva e nel nome di una vita migliore, offendendo e profanando chi non ha permesso che la propria forza fosse degradata a vulnerabilità.”

shoah per sociologia on webSono queste le parole dell’intervento dettagliato e mirato di Luciana Costa, presidente Irsem, che ha introdotto e moderato l’evento “Mnemosine.la memoria è il dono di sé delle donne nella Shoah”, presso il Museo Ferramonti. Un evento che ha visto la partecipazione di istituzioni e società civile, fulcro della memoria storica e del genocidio degli ebrei.La figura della donna nella Shoah è stata oggetti di analisi e di laboratori sensoriali:spesso la donna doveva nascondere di essere incinta, per evitare di essere sterminata insieme al nascituro.La nudità esposta era il simbolo dell’annullamento della persona, un’atrocità unica in un andirivieni di immagini macabre:adattare ai corpi femminili gli indumenti con aghi fatti da schegge di legno, mentre gli uomini li mettevano e basta.Immagini forti e strazianti hanno caratterizzato la vita delle donne nella Shoah, un delirio di tormenti e raccapriccianti momenti.Le donne ebree spesso, ma anche non ebree venivano colpite nella loro femminilità, con il taglio dei capelli, quasi a negarsi e a negare. Il negazionismo è stato l’effetto del nazismo, dello sterminio di massa, perpetrato a dismisura: non si può vivere se viene negata l’umanità.L’associazione Irsem ha fatto un buon lavoro di analisi, investendo il suo tempo sulla ricerca di senso, basata sulla scoperta dell’io, attraverso il ricordo della storia, la memoria che torna e che non va mia via.

Matteo Spagnuolo

 


“RADIO LIBERTÀ” : DIALOGO SU MUSICA E LEGALITÀ, PROTAGONISTI UN SOCIOLOGO, UN GIORNALISTA E UN MAGISTRATO

Promo RADIO LIBERTA 1Cosa ci fanno seduti – l’uno accanto all’altro – un sociologo, un giornalista e un magistrato? E’ la strana “band” di “Radio Libertà” che il 27 gennaio andrà “sul palco” del Circolo Venezia a Reggio Calabria. Il sociologo Fulvio D’Ascola, il giornalista Claudio Cordova e il procuratore aggiunto Gaetano Paci in un dialogo a tre voci sulla potenza della musica e su come essa possa rappresentare una forma straordinaria di cultura e riscatto anche in territori difficili come quello calabrese. Dal soul al rock, passando per il jazz e per la musica popolare calabrese. Bob Dylan, Bruce Springsteen, Marvin Gaye, Otis Redding e, ancora, Patti Smith, Tracy Chapman, Bob Marley, Fabrizio De Andrè, Rino Gaetano e i geni del jazz e del blues.Il viaggio di D’Ascola, Cordova e Paci alle radici di alcune delle canzoni più significative della storia. Un modo nuovo per ritrovare il senso disperso di comunità, ma anche un modo nuovo per discutere di legalità. Attraverso le canzoni contro la guerra o contro il razzismo, ripensando alla musica di impegno civile e a quella che ha dato voce a minoranze dimenticate, la serata di “Radio Libertà” condurrà verso quello che deve essere l’obiettivo di tutti: affrancare Reggio Calabria e la Calabria dalla ‘ndrangheta e dalle logiche mafiose.

‘Ndrangheta che controlla tutto o quasi: la vita pubblica, quella economica e quella sociale. ‘Ndrangheta che ha disgregato la società, creando un atavico senso di diffidenza dei cittadini, non solo verso le Istituzioni, ma anche l’uno verso l’altro.La musica, in tal senso, è uno dei più potenti mezzi di cultura e può contribuire a risvegliare i valori nobili e positivi che certamente albergano nei reggini. Da qui, dunque, la “band”, eterogenea, ma allo stesso tempo capace di scandagliare le varie sfaccettature di musica e legalità: Cordova nell’analizzare i fatti e metterli in correlazione con essi, D’Ascola nel mostrare come la musica, da sempre, abbia inciso sensibilmente sulle società mondiali e Paci, come simbolo della lotta repressiva alla ‘ndrangheta che, però, senza il contributo della gente non potrà che essere insufficiente.

La serata di “Radio Libertà” si terrà venerdì 27 gennaio a partire dalle 19.30 presso il Circolo Venezia in via Venezia n.14. All’interno del locale sarà presente uno spazio curato dalla Libreria Ave dove sarà possibile acquistare libri sui temi affrontati dai tre relatori.

La partecipazione al dibattito è libera.


STATI GENERALI DELLA SOCIOLOGIA E DEI SOCIOLOGI

             STATI GENERALI DELLA SOCIOLOGIA E DEI SOCIOLOGI

IMMAGINE SITO asi“C’è chi educa senza nascondere l’assurdo che è nel mondo, aperto ad ogni sviluppo, ma cercando d’essere franco all’altro come a sé stesso, sognando gli altri come non sono: Ciascuno cresce solo se sognato.”

(Danilo Dolci, sociologo)

                                      Sociologia e Professionalità.  Quale futuro?

                                                La memoria come sogno

                                       Sabato 21 gennaio 2017  ( 10.00 -12.00 – 13.00 – 15.00)

                                   Napoli – Via Bosco di Capodimonte, 79/80

 

Chairman Antonio Latella, presidente ASI

 Interventi:

Lucio De Liguori sociologo praticante, Direttore Lab “Hub Aminei”: “Ricerca quale modello organizzativo per il sociologo praticante?”;

Fulvio D’Ascola, sociologo e portavoce ASI: “Sociologia di prossimità e il modello ASI”;

 Lello Savonardo, docente di “Teorie e Tecniche della Comunicazione” alla “Federico II” di Napoli, già Segretario AIS: “Sociologia, quale futuro?”;

Maurizio Tramontano, sociologo: “Il sociologo professionale nella programmazione sociale”;

Claudio Longo sociologo,AO Napoli: “Professione: sociologo della Salute, quali sviluppi?”;

 Angela De Donato, sociologa, operatrice sportello antiviolenza: “Il sociologo nell’aiuto alle vittime di genere: quali svluppi?”;

 Giusy Albano, sociologa, direttrice Lab. Astrea: “Il sociologo-vittimologo quali sviluppi?”;

 Luigi Caramiello, docente di sociologia alla “Federico II” di Napoli: “Sociologia: percorsi di analisi e pratiche sociali”.

 LA MANIFESTAZIONE  E’ PATROCINATA

 

 

logo-ais

 

 

CHI SONO GLI ORGANIZZATORI

logo asi 15 GENNAIO 2017

ASI – ASSOCIAZIONE SOCIOLOGI

L’associazione ASI non ha scopi di lucro e deve considerarsi, ai fini fiscali, ente non commerciale ai sensi dell’art. 87, comma 1, lettera C del DPR n. 917 del 22 dicembre 1986. Tutte le attività, così come previsto dallo Statuto, possono essere realizzati sia sul territorio nazionale, nell’Unione Europea o in ambito extracomunitario. E soprattutto qualora si renda necessario e opportuno per esportare o acquisire formazione professionale, cultura, esperienze ed informazione tecnico–scientifica, azioni o programmi di formazione didattica e/o di cooperazione in proprio o per conto terzi. Tutte le attività non conformi agli scopi sociali sono espressamente vietate. Le attività dell’associazione e le sue finalità sono ispirate a principi di pari opportunità tra uomini e donne e rispettosi della legge nazionale e comunitaria e, ovviamente, dei diritti inviolabili della persona.

 

LNS: – Laboratorio Nazionale di Sociologia

Il Laboratorio Nazionale di Sociologia (LNS), tra i tanti obiettivi, si prefigge di: Formare e aggiornare i suoi scritti in ambito professionale, scientifico e culturale; Promuovere scambi culturali e scientifici con Università italiane e straniere, istituzioni nazionali e internazionali, associazioni; Istituire sedi e distaccamenti territoriali; Attivare programmi di formazione professionale, seminari, conferenze, manifestazioni di valenza socio-culturale ed economica, ricerche e programmi nel settore turistico, enogastronomico, marketing territoriale, sviluppo ecosostenibile, ambientale, culturale, purchè tutto finalizzato alla promozione umana e allo sviluppo di comunità e territori; Operare nel settore dell’assistenza sociale per sostenere persone svantaggiate o emarginate e prevenire e contrastare le dipendenze di concerto con scuole, enti locali, aziende sanitarie e ospedaliere, associazionismo, mondo dello sport; Elaborare progetti sulla condizione umana in generale (dall’educazione allo sviluppo e alla legalità, discriminazioni di genere, immigrazione, disoccupazione, ambiente, interventi nel Terzo settore); Promuovere ricerche demoscopiche, statistiche, indagini di mercato, di natura partitica e politica; Avviare ricerche per la promozione, valorizzazione e difesa del patrimonio storico, artistico e culturale e delle tradizioni. Ø Dare vita ad attività di formazione professionale anche a distanza e stage.; Istituire uno sportello di riferimento per i cittadini; Organizzare con cadenza annuale un premio di laurea magistrale in sociologia concernente il tema legato alla “Questione Meridionale”; Favorire la cooperazione internazionale.

 


 HUB AMINEILa via per realizzare quanto ci proponiamo passa attraverso le azioni sociali, culturali e artistiche: laboratori teatrali con bambini e adulti, spettacoli, progetti dedicati ai giovani e alla loro creatività (musica, pittura, scultura), sport, viaggi e turismo culturale. L’obiettivo è di orientare le persone all’utilizzo del tempo libero in maniera proficua per lo sviluppo della persona stessa in funzione dell’aumento del grado di civiltà della comunità anche attraverso il sostegno nello studio e nell’educazione. Nel Laboratorio sociologico c’è la presenza di di Sociologi, Psicologi, Educatori, Assistenti Sociali, Docenti, Insegnanti, Medici e Medici specialisti nelle diverse branche, Avvocati, ecc. che possono fornire ascolto ed un primo aiuto nell’ambito della genitorialità e dell’adolescenza, per il contenimento del disagio e miglioramento della vita dei soggetti interessati in termini di benessere, consapevolezza e dignità. Aiuto per risolvere i problemi scolastici, il rispetto delle regole, contrasto agli abusi di alcool e di droghe, al bullismo, aiuto nelle scelte sessuali, nell’inserimento nel mondo del lavoro, alleviare il tormentato distacco e le difficoltà del ricongiungimento delle famiglie di migranti. I sociologi specialisti in “Scienze criminologiche e forensi per la sicurezza urbana ed in vittimologia”, si interessano delle problematiche riguardanti la legalità e le politiche di sicurezza, assistenza alle vittime appartenenti a qualsiasi categoria.

 

 

 

 

Sociologia, professioni e mondo del lavoro.pdf   SOCIOLOGIA, PROFESSIONI E MONDO DEL LAVORO ( A cura di Annamaria Perino e  Lello Savonardo)

Il testo collettaneo raccoglie venticinque contributi tematici di autorevoli sociologi professionali accademici e autorevoli sociologi professionali non accademici, raccolti in quattro sezioni: 1) la professione sociologica; 2) l’evoluzione della formazione sociologica; 3) la professione del sociologo tra percezione, aspirazioni e applicazioni concrete; 4) la spendibilità del sapere sociologico.], nelle quali si esaminano le condizioni di salute della Sociologia e del Sociologo professionale arrivando così a diagnosticare lo stato preoccupante dei “due corpi”, ma tutti sono d’accordo nella conclusione che si può risalire la china, se il corpo dei sociologi professionali non accademici contribuisce a trovare strade di svolgimento di una “sociologia praticata” anche in forma di autonomia. Le Associazioni professionali dei sociologi allo stato hanno elaborato in Commissione UNI la normativa della professione del Sociologo affinché possa essere promossa la costituzione dell’organismo di certificazione della conformità per i settori di competenza, nel rispetto dei requisiti di indipendenza, imparzialità e professionalità garantiti dall’accreditamento. Organismo che potrà rilasciare il certificato di conformità alla norma tecnica anche la certificazione su richiesta del singolo professionista che opera in modo del tutto autonomo. Certificazione che è indispensabile per svolgere la Libera Professione e che deve essere menzionata su tutti gli atti che il professionista espleta a norma della legge della legge 4/2013.

 

Subito dopo Gli Stati Generali si procederà alla costituzione della deputazione ASI della Regione Campania ( ore 12,30). La manifestazione è aperta al pubblico.

Come si raggiunge il luogo della manifestazione:

 Dalla Stazione centrale – Metro M1 discesa stazione Colli Aminei; dal centro di Napoli linea R4, discesa CTO; dal Museo Nazionale linea 178 discesa, Via Miano (Porta Piccola).

 

LUOGO DEL CONVEGNO

 

 

 

 

Info ed iscrizioni;

Dott. Lucio De Liguori cell. 3398244975;

luciodeliguori@tiscali.it

 


Restiamo umani con Alievsky Musli, icona dei rifugiati

 

aliSi chiama Alievski Musli, macedone e nativo di Tetovo, un volto noto sul social network per i suoi lunghi viaggi nelle zone abbandonate dal resto del mondo. Ha visitato vari campi profughi, tra cui Idomeni, Nea Kavala, Salonicco, Serres. Ha creato Stay Human, associazione umanitaria dei diritti dei rifugiati, nell’ambito della quale Alievski presta il suo umile servizio, il cui ricavato, in termini di beni di prima necessità, va ai rifugiati.Ci sono alcuni servizi che offre Stay Human, quale l’acquisto delle felpe, la cui ultima sfida è stata quella di portare sostegno in Grecia.Lo incontriamo per scambiare quattro chiacchiere con lui: timbro vocale sicuro, che arriva direttamente, dal linguaggio colloquiale e diretto, privo di tecnicismi, ma carico di grinta e forza.

Alievski Musli è il tuo nome, ti va di dirci un po’ di te?

Mi chiamo Alievski, sono macedone, la mia unica missione è aiutare i rifugiati, lo faccio anche perché sono figlio di rifugiati, forse se non avessi vissuto questa condizione non sarei quello che sono oggi: ho 29 anni e sono pure papà di un bimbo di 8 anni.

Quando hai iniziato a prestare il tuo servizio presso i campi profughi, hai sentito dentro di te una forza motrice?

Forza motrice è la parola giusta, esattamente nell’estate del 2015 qualcosa è cambiato, ho capito quale fosse la mia missione, il mio compito, la mia essenza, in particolare l’immagine del bambino morto sulla spiaggia, in Turchia.

Hai mai incontrato ostacoli nel tuo cammino formativo e di vita: una vera carovana di emozioni?

Si, le difficoltà ci sono, soprattutto nella ricerca delle cose che servono, quelle che devo portare quando parto, anzi ti dirò: non è facile rintracciare tutti i beni di prima necessità, non tutti accolgono subito la mia richiesta, raccogliere tutto quello che serve è faticoso.

Hai qualcuno che ti accompagna in questo tuo percorso umano?

Si, c’è una ragazza che mi segue sempre, mi supporta ed apprezza tanto il mio operato, come io il suo.

La politica, i poteri forti ti hanno mai cercato per chiederti spiegazioni, o ti hanno dato qualche problema?

Non esistono  problemi quando fai qualcosa, io sono semplicemente Alievski, rispondo per me, non per gli altri.

Esiste un episodio, un’esperienza che ti ha caratterizzato maggiormente, o che ricordi in modo particolare?

Si ad Idomeni, in Grecia, c’è un campo profughi, in quel posto ci sono tante anime disperse, ed io vado lì per far festa con loro, il mio scopo è portare un messaggio di speranza, di pace e di fratellanza, attraverso balli e musica, accompagnando le melodie con il mio violino.Ricordo un’immagine particolare: c’erano alcuni profughi che mangiavano le patate, mentre al loro fianco si bruciava la plastica ed anche gli stracci, ove la diossina era il cibo prevalente.

Immagini chiare e di forte umanità ci restituisci con il tuo essere social, in effetti è palese il tuo grande altruismo, soprattutto quando parli di infanzia, un tema delicato che affronti in modo originale: le foto accanto ai bambini sono il leitmotiv del tuo servizio. Perché questa scelta?

Non lo faccio per strumentalizzare, oppure per sciacallaggio di immagini, ma credo che una foto sia più di mille parole. Sono bravo con le immagini: è una caratteristica del mio essere

Hai un progetto per il futuro, c’è qualcosa che vuoi dire alle nuove generazioni oppure a chi  ti segue?

No i miei progetti sono legati a quello che ho detto prima, anzi promuovo Stay Human, punto di incontro delle richieste dei rifugiati, inoltre chiedo ai governi europei di aprire le frontiere, solo così si può parlare di umanità: restiamo umani.

 

Intervista di Matteo Spagnuolo

Matteo Spagnuolo piccola


CONCETTUALIZZAZIONE E OMOGENEIZZAZIONE DEL PENSIERO  

DAVIDE FRANCESCHIELLO 2L’universo in cui siamo immersi è trionfalmente vario, costituito da esseri, nessuno dei quali esattamente uguale all’altro. Esistono quindi delle specificità che rendono unica una persona, un territorio, dinanzi alle quali il nostro pensiero opera delle semplificazioni, alcune volte soltanto per poter memorizzare il tutto. Si è portati pertanto a tener conto di differenze notevoli, macroscopiche, e trascurare quelle infinitesimali, attraverso un processo mentale definito di concettualizzazione, ovvero attraverso la costruzione di classi mentali. Quanto più sintetizziamo le caratteristiche comuni e non consideriamo gli elementi di differenziazione, tanto più ragioniamo per classi, permettendoci di semplificare la realtà, ma anche di indurci in errori grossolani. Un classico esempio è quello del pregiudizio razziale, attraverso il quale le persone non sono giudicate per la loro specificità, ma per la loro appartenenza ad una classe o gruppo sociale. Ma lo stesso pregiudizio lo possiamo riscontrare quando si parla di persone con disabilità, la quali vengono classificate, banalmente, come handicappati, down o autistici, trascurando ciò che li rende unici. E così via quando giudichiamo gli altri, chi ci sta vicino. Ci piace etichettare gli altri ed auto qualificarci, riducendo la nostra esistenza ad un “lei non sa chi sono io”. Anche in campo scientifico ritorna utile la classificazione, degli animali, delle piante, dei virus, ma insufficiente quando si deve ricondurla a condizioni di causalità, ossia quando si debba ripercorrere un processo di causa effetto. Se non si fosse applicata l’osservazione empirica, la sperimentazione, l’individuazione dei nessi causali che sottostanno a determinati fenomeni Galilei non avrebbe scoperto nulla e così tutti gli altri inventori o ricercatori. Nel modo di pensare aristotelico i movimenti degli astri vennero intesi come perfettamente circolari mentre Keplero sostenne che il movimento dei pianeti non è né circolare e né uniforme, sconvolgendo le teorie esistenti e conclamate.

La classificazione pone tutto e tutti sullo stesso piano, uniformando comportamenti, atteggiamenti ad una caratteristica sociale: poveri e ricchi; all’età: giovani o vecchi; al sesso: uomini o donne; al momentaneo ed al durevole, all’oppositore piuttosto che al sostenitore. Questo modo di pensare può compromettere situazioni personali, ma anche, come detto, arrivare al pregiudizio razziale, omofobico e via dicendo. Avere pregiudizi significa pensare per categorie rigide, eccessivamente omogeneizzate: così gli zingari saranno tutti ladri, i napoletani tutti furbi, i siciliani e calabresi mafiosi, i tedeschi tutti puntuali. Le qualità o difetti di un gruppo di persone vengono così proiettate, con la stessa intensità, su tutti i membri di quella comunità. In ognuno di essi si preferirà individuare sempre quella caratteristica, utile, molto grossolanamente, a svantaggiare o favorire delle persone, magari anche a dispetto di concrete evidenze contrarie. Questo processo mentale porta a tenere distinte e distanti le classi generate, escludendo completamente la possibilità che una persona possa comportarsi in modo differente dallo stereotipo dell’altra classe. Così un medico, nell’immaginario collettivo, non potrà essere mai considerato in grado di riparare una presa elettrica, uno specialista essere paragonato ad un dilettante. È quella che Karl Dunker definisce “fissità funzionale”. Per chi ritiene che uno stuzzicadenti serva solo per pulire i denti e non per creare delle opere, la proposta di un uso inconsueto di un oggetto, di una visione non standardizzata delle cose, porta al rifiuto estremo e talvolta inconsulto del diverso.

Esempi tipici della concettualizzazione possiamo ricontrarli quando si prendono in considerazione casi limite per assolutizzare un nostro pensiero e si omettono invece tutti quelli che non lo confermano. Quando formuliamo soltanto delle ipotesi singole in una situazione che invece è complessa e richiede che vengano messe in gioco e collegate fra loro più ipotesi, attraverso un’analisi dubitativa e probabilistica; quando trasformiamo un’impressione di causalità in un giudizio di causalità o invertiamo il rapporto d’implicazione. In base a queste prese di posizione scegliamo le persone con cui stare e quelle che bisogna allontanare. I rapporti con le persone dovrebbero andare invece ben oltre ciò che appare, oltre il contingente. Bisognerebbe attraversare le loro storie personali fino a giungere all’essenza della persona, in un approccio più empatico che sintetico, interrogativo più che affermativo, rispettoso dell’universo uomo.

Davide Franceschiello, sociologo, dirigente nazionale ASI ( Associazione Sociologi Italiani)


BAUMAN, L’UOMO CHE HA DATO FORMA A UN MONDO IN MOVIMENTO

BAUMAN foto grande 1Questo gennaio 2017 porta via con sé una delle personalità più influenti ed eminenti delle scienze sociali: il sociologo polacco Zygmunt Bauman, colui che ha coniato il termine di “modernità liquida” svelando agli occhi di studiosi e non, tutti i chiaroscuro della nostra epoca. In virtù della missione precipua della sociologia, che è quella non solo di analizzare oggettivamente la realtà, ma anche quella di attuare una riforma sociale diretta al miglioramento della società, mi preme ricordare quanto più possibile in termini semplici e diretti e, certamente, in modo non esaustivo, quello che è stato il pensiero baumaniano, tentando di riagganciare il suo contributo accademico ad una narrazione volta, in primis, alla comprensione. Fu proprio Bauman ad affermare, infatti che: “Il compito della sociologia è venire in aiuto dell’individuo. Dobbiamo porci a servizio della libertà. (…) Lo sforzo corrente di comprendere il mondo – questo mondo, qui e ora, apparentemente familiare, ma che non risparmia sorprese, negando oggi quello che ieri lasciava intendere fosse vero e offrendo al tempo stesso scarse garanzie che ciò che oggi, al calar del sole, riteniamo vero non venga rigettato all’alba di domani – è effettivamente una lotta. Una strada in salita, potremmo dire – e sicuramente un compito scoraggiante e interminabile -, che non ha mai una fine. La vittoria finale è sempre, ostinatamente, più in là dell’orizzonte.”In nome di questa missione, diciamo anzitutto che lo studioso è stato uno dei sociologi che più ha focalizzato l’attenzione sulla comprensione dei mutamenti recenti che interessano la nostra società sia a livello sistemico si a livello individuale. Se, infatti, la sociologia, nasce dal desiderio di comprendere e migliorare la società moderna frutto dell’era illuminista e forgiata dall’industrializzazione e dai processi capitalistici che hanno radicalmente modificato gli assetti sociali e l’’ideologia dominante, con l’avvento della globalizzazione si assiste ad una ancora più energica trasformazione della realtà sociale, un mutamento e straordinariamente ampio dal punto di vista spaziale e rapido temporalmente.Mentre molti studiosi hanno sostenuto che con la globalizzazione si sia fatto ingresso nel cosiddetto postmodernismo, altri intravedono in questi processi di portata planetaria una continuazione della modernità. Bauman, appartenente a  quest’ultimi, teorizza il concetto di “modernità liquida” facendo riferimento proprio alla natura fluida del progresso tecnologico che accompagna le fasi di costante cambiamento.

BAUMAN 1BAUMA 14 libriDunque, se la modernità è caratterizzata dall’industrializzazione e dal capitalismo (la modernità solida), la “tarda modernità” si contraddistingue per l’incertezza e le trasformazioni inesorabili che impattano sulla società sia a livello sistemico e sia a livello individuale. Il termine “liquido” è una metafora che serve proprio a definire la mobilità fluida, incontenibile ed imprevedibile della vita odierna., la quale porta inevitabilmente a gradi maggiori di rischio a scapito della sicurezza. Se la modernità solida era ordinata, razionale e relativamente stabile, con norme e burocrazia, tradizioni e istituzioni, con mutamenti possibili, prevedibili,  unidirezionali e progressivi in vista di un’emancipazione razionale dell’umanità, con identità personali fondate su determinate categorie (professione, genere, appartenenza religiosa, nazionalità), la modernità liquida stravolge ogni schema.L’indebolimento degli  Stati nazionali, lo sviluppo del capitalismo globale, il ruolo delle tecnologie e della rete internet che consentono un flusso delle informazioni sovranazionale e istantaneo, l’incremento delle migrazioni umane nel mondo, hanno innescato il passaggio dalla società solida a quella liquida.

Oggi viviamo in un mondo sempre più globalizzato in cui tutti siamo consapevolmente o meno dipendenti gli uni dagli altri, in cui ogni Paese non è altro che una somma di diaspore: in cui le identità personali non sono più definite dalle categorie suddette, ma passano attraverso il consumo: nuovo linguaggio con cui esprimiamo il nostro modo di essere e il nostro stile di vita. Il confine che separava l’Io autentico dalla sua rappresentazione nelle scelte del consumatore è in frantumi: secondo Bauman siamo ciò che compriamo; il valore è definito dalle cose che si acquistano e l’esclusione è umiliante. Infatti, secondo il sociologo polacco, distingue tra vinti e vincitori in questi mutamenti: coloro che traggono i  maggiori benefici dalla fluidità tardo-moderna vengono definiti (immaginando i due stremi del fenomeno) turisti, individui dotati di status privilegiato, di ricchezza, che hanno accesso alle informazioni attraverso la rete e possono viaggiare  in largo e in lungo per tutto il globo; coloro che traggono benefici limitati sono dettivagabondi, costretti all’immobilità forzata ed esclusi dalla cultura del consumo, trascorrono la loro esistenza in luoghi in cui la disoccupazione è alta e gli standard di vita estremamente bassi, o ancora sono coloro costretti  ad abbandonare il loro Paese di origine come rifugiati economici o politici.

 BAUMAN la sociologiaSecondo Bauman, infatti, non a caso la forte ondata migratoria e i flussi transnazionali sono l’emblema della liquidità. E’ dall’inizio della modernità che alla porta dei popoli bussano profughi in fuga dalle guerre, dalle persecuzioni e dalla fame. Il contributo di Bauman sulle migrazioni è quanto mai attuale e importante per comprendere il cosiddetto “panico morale” creato attorno al fenomeno delle migrazioni ovvero il timore che dietro ogni profugo ci sia uno straniero che minaccia il benessere della nostra società. In “Stranieri alle porte” Bauman scrive: “Mentre scrivo queste righe una nuova tragedia – frutto di dura indifferenza e cecità morale – aspetta di colpire. I segnali si moltiplicano: gradualmente ma inesorabilmente la pubblica opinione, complici i media assetati di ascolti, inizia a stancarsi di provare compassione per la tragedia dei profughi. Bambini che annegano, la fretta di erigere muri, il filo spinato, i campi di accoglienza gremiti, i governi che fanno a gara per aggiungere al danno dell’esilio, della salvezza rocambolesca, di un viaggio estenuante e periglioso, la beffa di trattare i migranti come patate bollenti: questi abomini morali ormai non sono più una novità, e tanto meno fanno notizia. Purtroppo il destino dei traumi è di convertirsi nella tediosa routine della normalità, e il destino del panico morale è di consumarsi e sparire dagli occhi e dalle coscienze avvolte nell’oblio. (…). I governi non hanno interesse a placare le ansie dei loro cittadini. Al contrario, hanno tutto l’interesse a gonfiare l’inquietudine che scaturisce dall’incertezza sul futuro e da un costante e onnipresente senso di insicurezza, facendo in modo che le radici di quella insicurezza si aggrappino dove maggiori sono le occasioni di visibilità per ministri che fanno sfoggio di bicipiti, nascondendo invece al pubblico l’immagine di governanti sopraffatti da compiti che non sono in grado di svolgere perché troppo deboli.” Egli, in sostanza, sostiene che quello che ci manca è una coscienza cosmopolita e le istituzioni politiche che incarnino questa condizione e ci ricorda come: “Nella fitta rete mondiale di interdipendenza globale, non possiamo essere certi della nostra innocenza morale.

Bauman 2Ma Bauman si è addentrato anche nel mondo dei rapporti interpersonali e dei sentimenti, spiegandoci come l’amore liquido di oggi rifiuti relazioni stabili ma ricerchi, allo stesso tempo sicurezza nei rapporti a due; di come i legami siano stati sostituiti dalle connessioni e gli individui vivano due vite: una online in cui il mondo appartiene a loro, e una offline in cui loro appartengono al mondo e alle sue regole. Parla di emozioni fugaci e sentimenti durevoli da coltivare, la lacerazione tra la voglia di provare nuove emozioni e il bisogno di un amore autentico.Il contributo di Bauman è immenso. Il suo studio volto alla continua ricerca di cogliere la forma di un mondo in movimento, un mondo che cambia ad una velocità superiore alla nostra capacità di adattamento, al solo e nobile scopo di capire come migliorare la nostra società:“E’ indubbiamente vero che, piccoli o grandi che siano , i miglioramenti del nostro modo di concepire il mondo vissuto non saranno sufficienti a garantire la realizzazione della speranza di migliorare il mondo e le nostre vite all’interno di esso, ma è altrettanto vero che senza questi miglioramenti la speranza non potrà mai sopravvivere”.

Servizio di Sonia Angelisi 

SONIA ANGELISI piccola  Sociologa, dottore di ricerca in sociologia, dirigente nazionale dell’ASI ( Associazione Sociologi Italiani) 

 

 

 


NAPOLI OSPITERÀ GLI STATI GENERALI DELLA SOCIOLOGIA E DEI SOCIOLOGI PRATICANTI

LOGOI sociologi accademici e quelli praticanti si confronteranno sulle questioni molto care al loro “essere”. Per questo –  l’iniziativa è dell’ASI (Associazione Sociologi Italiani) e  dei Liberi Sociologi Praticanti (LSP) -, si sono dati appuntamento a Napoli per affrontare il tema “Sociologia e professionalità”.Nel Capoluogo campano, infatti, sono stati convocati gli “Stati generali della Sociologia e dei Sociologi Professionali”.  Il confronto, in programma il prossimo 21 gennaio, in via Bosco di Capodimonte, 79/80 (l’inizio dei lavori è previsto per le ore 10,00), giunge in un momento particolarmente delicato per la professione del sociologo alla luce della legge n.4 del gennaio del 2013 che disciplina le professioni non organizzate in ordine o collegi.In Italia sono decine di migliaia i laureati in sociologia che, non disponendo di un ordine professionale (residuato delle vecchie corporazioni che l’Italia, nonostante le indicazioni dell’UE, invece di cancellare continua a tenere in vita privilegiando certe caste che sfuggono alle regole del mercato), una volta conseguita la laurea ingrossano il  bacino dei disoccupati, inoccupati e sfruttati.

Gli Stati generali saranno chiamati ad interrogarsi sul futuro del sociologo che, troppo spesso, per mancanza di garanzie legali, viene scavalcato da altre figure, soprattutto nel settore pubblico, prive della benché minima competenza in particolare nel campo della ricerca.  A Napoli per pensare alla storia della sociologia e dei sociologi, al presente, al futuro. Il confronto avrà come attori sociologi accademici, sociologi praticanti, cultori della materia, esperti di progettazione sociale e professionisti che lavorano in rete con il sociologo: assistenti sociali, psicologi, educatori, psichiatri, architetti, criminologi, ingegneri, avvocati. Insomma, figure professionali che assieme al sociologo, nell’era postindustriale, sono chiamati ad aggregarsi per dare vita a reti interdisciplinari indispensabili nel complesso lavoro di progettazione sociale.

Lucio De LiguoriCyberbullismo Latella

Chairman   degli Stati generali: Antonio Latella, presidente dell’Associazione Nazionale Sociologi;  le relazioni vedranno come protagonisti due sociologi accademici che affronteranno rispettivamente i temi “Le istituzioni di sociologia”, e “Sociologia quale futuro?”; mentre Lucio De Liguori, sociologo praticante (LSP) tratterà il tema: “Cultura, territorio, ricerca: quale modello organizzativo per il praticante?”.

Gli Stati generali della sociologia e dei sociologi professionali, faranno da cornice ad un altro avvenimento: la costituzione della Deputazione ASI (Associazione Sociologi Italiani) della Regione Campania, con sede in via Bosco di Capodimonte, 79/80 a Napoli.


Cyberbullismo, genitorialità ed educazione

 

Verso una cultura della collaborazione per sostituire quella della prevaricazione

GIacomo Buoncompagni 3Uno studio recente condotto da E. Copeland, professore di psichiatria e scienze comportamentali alla Duke University, ha confermato come il bullismo colpisca il funzionamento a lungo termine di una persona. La vittima di bullismo infatti, può sviluppare forti disturbi e disagi psicologici che  influenzano il suo sviluppo e  questi non scompaiono affatto con la crescita, al contrari,  si radicano nell’individuo influenzando cosi dinamiche psico-emotive, relazionali del soggetto. Gli ultimi dati del Telefono Azzurro evidenziano una forte crescita nelle scuole italiane dei casi di bullismo e cyber bullismo (oltre il 70%), una vera e propria emergenza sociale.  La maggior parte delle vittime cercano di soffocare il dolore nella violenza nel silenzio, diventano bulli a loro volta, commettendo atti di autolesionismo o scegliendo tragicamente di togliersi la vita. Perché è dunque importante contrastare il (cyber)bullismo?

Innanzitutto il bullismo fa male a coloro che lo subiscono: aumenta la solitudine, l’insicurezza e la vergogna di raccontare quella sofferenza che aumenta di giorno in giorno, inoltre fa male a coloro che lo compiono: CYBER BULLISMO 1il bullo è la prima vittima di questo processo di violenza. Si illude cosi di risolvere i problemi con la prepotenza, non mostrando mai chi è veramente, scambia la paura per rispetto e approvazione. Il bullismo fa male poi a coloro che assistono senza far niente: il gruppo è il “motore” dell’azione violenta.  Gli “spettatori” e gli “aiutanti” del bullo non sanno di avere una grande responsabilità e potere: potrebbero interrompere il circuito violento una volta per tutte, ma scelgono di adattarsi e partecipare, piuttosto che divenire a loro volta vittima. Il bullismo non è mai un’azione isolata, ma pubblica e ripetuta: ha bisogna di spazio, di pubblico, di partecipazione, di tempo, un’azione che si alimenta anche nei social, coltivando sempre più una cultura dell’odio che oltrepassa il dialogo e il confronto. Inoltre in Rete, oggi si può sfruttare la natura interattiva e pubblica dei media, crearsi nuove identità e agire per vendetta o divertimento con azione di flaming, exsclusion, cyberstalking, che raddoppiano l’effetto di  disagio e i disturbi psico-fisici sulla vittima.

Un chiaro esempio di irresponsabilità e di analfabetizzazione digitale. Come contrastare questo fenomeno? Come un genitore può intervenire? L’educazione e la media-education sono gli strumenti che possono aiutare a ridurre la violenza: diventa cosi fondamentale conoscere le dinamiche del fenomeno bullismo, sviluppare consapevolezza e competenze mediali digitali, riprendere in mano lo strumento della comunicazione e dell’ascolto. Il genitore deve “semplicemente” continuare a svolgere il suo ruolo, essere consapevole del fatto che il principale compito è quello di sostenere i propri figli. Come?.. Interessandosi al loro comportamento, anche in Rete!! Viviamo in una realtà complessa, sociale e virtuale, osservare il comportamento non verbale del proprio figlio non basta più. E’ chiaramente importante non tralasciare gli “indicatori post-violenza” tipici degli adolescenti: scarso appetito, materiale scolastico perso o rovinato, richiesta di denaro, sonno agitato ecc..in Rete oggi passano la maggior parte del loro tempo ed è li che modificano le loro abitudini, comportamenti, stabiliscono nuove relazioni.

CYBERBULLISMO 2Educare ai media, con  media e grazie ai media digitali è uno dei “nuovi compiti” del genitore 2.0.

Per prima cosa però è necessario che l’adulto conosca il mondo dei social, adotti un mirroring verbale al riguardo con il proprio figlio: adottare il suo stesso linguaggio (app, like, social..) aiuta a stabilire una comunicazione più efficace e una relazione fondata sulla fiducia. Esplorare il web insieme può essere una buona soluzione, non basta più l’applicazione di “filtri”, l’adozione di qualunque mezzo di difesa e di controllo, non si è detective privati ma genitori! Internet va considerato come uno strumento “aperto” e accessibile a tutta la famiglia , si può in questo modo parlare apertamente con i figli anche dei rischi presenti durante la navigazione, come bloccare chi ci infastidisce, non fornire dati personali e cosi via. Un altro punto è più che mai necessario sottolineare: condividere raccomandazioni per un uso più sicuro della Rete, ma soprattutto sottoscrivere insieme una “ carta delle regole di comportamento”. La studiosa e scrittrice J.B.Hofman parla di Irules per educare “figli iperconnessi”: un ritorno alle regole aiuta a sviluppare un processo che parte dal monitoraggio tecnologico che il genitore fa verso il figlio, per arrivare cosi all’automonitoraggio da parte dell’adolescente.

C’era un tempo e un momento ben preciso per giocare ai videogiochi e guardare la Tv, c’è un tempo e un momento preciso oggi anche per stare in Rete.Bisogna tornare alle regole ed è il modo migliore per vincere le sfide quotidiane: “ la trappola in cui cadono molti è la convinzione che le regole siano cambiate solo perché è cambiata la tecnologia…invece dobbiamo semplicemente applicare le stesse strategie e convinzioni anche alla dimensione tecnologica”(J.B.Hofmann).

 

Giacomo Buoncompagni

 Presidente provinciale Aiart Macerata (Associazione spettatori onlus).Laureato e diplomato con due master in comunicazione , specializzato in comunicazione pubblica e scienze socio-criminologiche. Esperto in comunicazione strategica e linguaggio non verbale. Collaboratore di Cattedra in “Sociologia della devianza“e “Comunicazione e nuovi media”presso l’Università di Macerata ,  docente di “Comunicazione e crimine “presso la Libera Università di Agugliano (AN). E’ autore del libro “Comunicazione Criminologica”(Gruppo editoriale L’Espresso,2016)                                             

 giacomo.buoncompagni@libero.it

 


MAURIZIO LOI, IL PIZZAIOLO IN GUERRA. LA PIZZA PORTATA ANCHE IN PALESTINA

 

Matteo SpagnuoloCiao Maurizio, ci racconti un po’  di te, del tuo cammino verso la Terra promessa quale la Palestina. Ci illustri parte del tuo percorso, i primi passi della tua avventura umana

Ho visitato  vari campi profughi nel mio percorso umano e culturale,dove ho visto individui che vivono in condizioni  estreme,  si pensi che non possono uscire alcuni di loro. Poi devo dire che ci sono anche zone tranquille, dove non succede nulla, mentre  alcuni campi profughi risalgono al 1948, laddove ci sono palestinesi rinchiusi come in una galera, mentre a  Gaza c’è un altro tipo di sofferenza, perché ti privano di libertà, anche se  c’è  un clima di accoglienza, infatti la gente ti accoglie, ti fa sentire a casa, anche con un sorso di caffè.

Quali sensazioni e ricordi se pensi al popolo palestinese,  riesci a descrivere ciò che provi con le parole: operazione imprescindibile , ma possibile attraverso il superamento degli ostacoli che provengono dalla mente

Dentro di loro c’è un forte  malcontento, ti  nutri dei  loro dinieghi, abituati  da sempre alla cultura del no: il no è la parola d’ordine. In questo ultimo viaggio abbiamo vissuto come i palestinesi, pensa che  mi controllavano i documenti,  vivevo in un clima di allerta continuo.

Controllavano i documenti ogni 5 minuti, ti senti parte di un programma di controllo elevato, un controllo che dà fastidio. I soldati non sono comprensivi: un giorno  un soldato parlava al telefono con qualcuno, e durante la telefonata era rimasta in coda ai controlli di routine una ragazza, la cui  attesa  è perdurata per un arco temporale considerevole, fin quando il soldato non chiuse la telefonata ( azione di una inciviltà unica, oltre che di una mancanza di rispetto nei confronti del prossimo)

Loro vivono sotto tensione, un aspetto che percepisci anche dai poliziotti, che hanno 20 anni ,  i quali sono addestrati a questo tipo di cose.

Tu sei sardo, e dalla Sardegna ti sposti verso la Terra promessa, quindi  porti tuo saper fare , che si tramuta nella preparazione della pizza . La pizza è un anello di congiunzione tra il popolo palestinese e l’Italia, come spieghi l’accostamento del cibo alla solidarietà che offri a tanti fratelli palestinesi

Mi sono documentato sulla pizza, sulle varianti,  ci sono tracce di una pasta simile alla pizza, anche se la cucina è diversa rispetto alla nostra. Devo fare una premessa: “ Ho girato varie zone dell’Italia per lavoro, da Portocervo a Bologna, ma una cosa è certa: il cibo italiano è unico.

Esiste un pane speciale palestinese, simile al nostro, ricorda un po’ una sfoglia sottilissima, che vene cotta al forno. Il cibo accomuna tutti i popoli, ed io cerco di aggiornarmi e fare sempre cose nuove: è un orgoglio girare la Palestina.

I campi profughi: rifugio di anime e corpi innocenti, sono stati al centro del tuo viaggio. Chi ti fa compagnia nel tuo cammino

Io ho  girato molti campi profughi come  Dheisheh a Betlemme , e poi altri ancora ai confini con Gerusalemme, di cui porto tanti ricordi e amarezze nel cuore. Mi moglie è la mia compagna di viaggio , alla quale va la mia stima e dedizione, l’unica che ha sentito la causa palestinese sin da ragazza, invece io nel frattempo girovagavo tra Bologna e Portocervo, anche Roma: “In pratica  ero concentrato su altro”.

Hai qualche progetto, a tal proposito, che possa fare da apripista ad altre linee progettuali. Ci sono partenariati nel tuo operato

Io mi occupo di Palestina , non sono cieco su Africa o altre terre,  poi se posso collaborare in qualche progetto ben venga:” Mi piace lanciare dei messaggi sempre e comunque”.

Io non faccio parte di nessuna associazione, perché sono autonomo ( il mio ricavato va sempre ai miei amici palestinesi, grazie agli amici che lasciano la mancia in pizzeria , che poi sono quei  clienti “sensibili” alla causa che ho sposato.)

Mi fido di tutti, io collaboro con tutti, solo che alle  volte ci sono quelli più alti, quelli più bassi, e noi non ci presentiamo come “ Io sono”, ma come “ Noi facciamo” .  Il mio partecipare alle manifestazioni fa emergere la mia voglia di fare, un operato al servizio di tutti. Con mia moglie partiamo e andiamo giù , ci inventiamo qualcosa e poi partiamo

MATTEO SPAGNUOLO foto

C’è stato un  momento in cui hai detto “ Lascio e mollo tutto”, che sono quei momenti di sfiducia verso il genere umano: “ Gli uomini a volte danno e spesso tolgono”

No non mi sono mai stancato, io riesco a prendere contatti con tutti, lavoro 18 h al giorno, e quando lavoro la pasta penso ad un progetto, ad esempio il progetto del fine settimana che poi si concluderà presso il  villaggio beduino khan al ahmar, lo avevo immaginato e studiato a Settembre.

Ho chiamato persone dall’ italia, dalla Palestina, i quali  mi danno consigli  sui posti da visitare o ispezionare.

Mi danno suggerimenti di  contatti , ai quali rivolgo le mie domande o pongo le mie perplessità.

Un messaggio che vuoi dare ai tuoi amici italiani, o  a chi consideri fratelli e amici nello stesso tempo

Sono stato a Gaza ed esserci in questo posto non è come andare a Portocervo,  il che implica dolori e delusioni, ci sono  i soldati, la vita si interrompe, ci sono dei passaggi traumatici, che è meglio dimenticare. Non c’è la corrente elettrica,  l’acqua puzza :” Il mondo si ferma lì a Gaza -caro Matteo”.

“Vedere dei   cuccioletti che mangiano  erba  e non insalata, mi porta tanto dolore”, da premettere che  ci sto solo 10 giorni, a differenza dei miei amici che ci vivono.

Hai un amico in particolare, con cui hai legato maggiormente, sempre in ambito palestinese , in particolare nei tuoi viaggi “intendo”

 Io cerco di trasmettere  il mio operare , mi piace parlare di Palestina, ma non entro nella questione palestinese: non differenzio i buoni dai cattivi.

Ho un amico palestinese conosciuto quest’anno, che ha studiato a Cagliari, con cui andrò questo fine settimana  tra Gerusalemme e Gerico. Poi ho tanti amici virtuali, ma sai l’amicizia è una parola grossa.

 Matteo Spagnuolo


SOCIOLOGIA DEL TERRORISMO: PROCESSI COMUNICATIVI NELLA NEGOZIAZIONE OPERATIVA APPLICATA

foto Giacomo Buoncompagni  1Nei recenti casi di terrorismo e non solo, i media si sono più volte soffermati sulla narrazione del ruolo delle forze speciali nei casi di presa d’ostaggi e le strategie comunicative utilizzate che non sempre purtroppo si rivelano efficaci, in particolare, se si ha a che fare con un attentatore suicida.  Con il termine “Negoziazione” (dal latino “negotium”) si indica la conduzione di una trattativa, di un“affare”.      La negoziazione è considerata come un processo di interazione in cui due o più parti cercano di accordarsi su un risultato reciprocamente accettabile, in una situazione di conflitto tra interessi, nella forma di relazione tra due o più soggetti sociali con lo scopo di raggiungere un determinato accordo, obiettivo.  La comunicazione e l’ascolto diventano strumenti  strategici per tutelare l’individuo sequestrato e per prendere tempo affinché la situazione di crisi si risolva al meglio(Golfriend,1994) .Gli esperti in materia  si concentrano  prevalentemente sulle motivazioni del sequestratore: Una classificazione completa ed interessante è quella di Call (1996) che propone sei categorie di sequestratori: emotivamente disturbati; estremisti politici; fanatici religiosi; criminali;  carcerati; categoria di combinazione. Goldaber (1979) ha compilato una tabella particolarmente utile agli ufficiali delle forze di polizia, che, con un linguaggio semplice, dove riassume specifiche informazioni sui nove sottogruppi di sequestratori, in relazione al “chi”, “cosa”, “quando”, “dove”, “perché” e “come”. Esempio della personalità suicida: individuo instabile, depresso con uno squilibrio cronico o acuto. Qual è la sua caratteristica distintiva? Non gli importa di essere ucciso, è guidato da un singolo scopo.

 GIACOMO 2 2017 Quando ha preso l’ostaggio? In uno stato emotivo di grave scompenso. Dove ha commesso il fatto? Nel luogo che gli porta le massime soddisfazioni. Perché l’ha fatto? Per soddisfare il proprio desiderio di morte per raggiungere il proprio dominio e risolvere il proprio problema. Come ha preso l’ostaggio? Con provocazioni irrazionali, attraverso un comportamento furtivo. Un buon negoziatore deve avere  “competenze sociali e competenze comunicative” intese come “ insieme di quelle capacità che servono per mettersi in relazione con gli altri in modo utile ed efficace, comprendere l’altro e attivare il self-control”(Fisher,Ury,1995). Le vittime che si trovano sotto sequestro, sono passive, accidentali: si sono trovate sul percorso del reo, come nei casi frequenti di barricamento in seguito ad una rapina in banca.                                             Sono vittime preferenziali, se sono state scelte per il loro ruolo o status, come nel sequestro a scopo di estorsione; sono vittime simboliche, se sono state scelte per colpire in esse un’ideologia o uno Stato che si considera oppressore, come nelle azioni terroristiche. La situazione con ostaggi si verifica quando un sequestratore detiene una o più persone per motivi “strumentali”(Call,2003).  Il soggetto ha bisogno delle forze dell’ordine o di altre autorità per soddisfare le sue specifiche esigenze; gli ostaggi sono dunque un mezzo per raggiungere i suoi obiettivi. La presa di ostaggi può essere definita come un evento triadico, coinvolge infatti, come visto nel paragrafo precedente , tre soggetti  all’interno di un’unica circostanza (sequestratore, ostaggio e negoziatore) e di conseguenza si attivano tre processi di comunicazione , tre relazioni differenti e dinamiche emotive importanti.   I negoziatori devono “limitarsi” negoziare, devono svolgere liberamente le trattative e non devono mai assumere posizioni di comando che potrebbero fargli perdere la concentrazione e la lucidità richiesta in quella determinata situazione. Il linguaggio è uno strumento fondamentale sia per ottenere informazioni e sia per  fornirle. L’FBI ha sviluppato il Behavioral Change Stairway Model, una guida per la costruzione di una relazione tra il negoziatore e il soggetto.  Esso si compone di cinque tappe: ascolto attivo:  le competenze di ascolto attivo sono componenti essenziali del BCSM e formano il fondamento dell’intervento di crisi; l’empatia: naturale sottoprodotto di un efficace ascolto attivo , essere empatici, vuol dire comprendere sentimenti e  motivazioni dell’altro.Per dimostrare empatia è importante l’analisi della comunicazione non verbale e para-verbale, principalmente il tono vocale , essendo la negoziazione operativa ,spesso una comunicazione a distanza  e senza possibilità di contatti oculari diretti con il criminale; rapporto:  il sequestratore comunica e il negoziatore ascolta. Riguarda una fase di maggiore fiducia da parte di questo e quindi è più probabile che ascolti e accetti, ciò che il negoziatore ha da offrire. influenza : ora  gli attori del processo negoziale-comunicativo “collaboreranno” insieme per individuare soluzioni non violente .Il criminale dovrebbe cosi mostrarsi più  fiducioso e aperto ai suggerimenti del negoziatore, modificando cosi il suo linguaggio  e comportamento; cambiamento comportamentale: in questa fase finale , il negoziatore la calma e la strategia comunicativa non devono mai affievolirsi, il comportamento del criminale è imprevedibile cosi la reazione emotiva e psicologica  dell’ostaggio. Ostaggi a parte, sarebbe importante, anzi necessario, usare la negoziazione per creare prima di tutto  una mediazione , una situazione di confronto che vada  a rafforzare la relazione tra cittadino e forze dell’ordine negli episodi conflittuali della quotidianità, che vedono troppo spesso come  protagonisti  proprio agenti e cittadini ,all’interno di contesti violenti e devianti impegnati in scontri fisici e verbali.

Giacomo  Buoncompagni

Presidente provinciale Aiart Macerata (Associazione spettatori onlus).Laureato e diplomato con due master in comunicazione , specializzato in comunicazione pubblica e scienze socio-criminologiche. Esperto in comunicazione strategica e linguaggio non verbale. Collaboratore di Cattedra in “Sociologia della devianza“e “Comunicazione e nuovi media”presso l’Università di Macerata ,  docente di “Comunicazione e crimine “presso la Libera Università di Agugliano (AN). E’ autore del libro “Comunicazione Criminologica”(Gruppo editoriale L’Espresso,2016)                                            

 giacomo.buoncompagni@libero.it


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