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Morte assistita di Fabiano Antoniani, il dj Fabo

 

fabianoFabiano Antoniani, nato a Milano 39 anni fa, decide di morire, per le drammatiche  conseguenze di un incidente  stradale avvenuto nel 2014: dopo una serata in un locale, dove aveva suonato con l’amico Leonardo Tumiotto, il suo corpo viene balzato dall’abitacolo subendo lesioni al midollo spinale all’altezza di due vertebre cervicali. Il risultato scabroso di questo incidente fu la cecità e la limitazione delle attività motorie, tanto da costringerlo ad una vita da tetraplegico. Si nutriva con un sondino che arrivava allo stomaco, respirava con l’aiuto di un ventilatore 24 su 24: una vita che era peggiore della morte.Fabiano Antoniani, conosciuto come Dj Fabo, aveva espresso il desiderio di morire, una morte preannunciata attraverso il suicidio assistito ( l’eutanasia è la buona morte, che consiste nel procurare intenzionalmente la morte di un individuo, la cui qualità della vita sia compromessa da una malattia grave). Il dj Fabo aveva diffuso molti video, in cui chiedeva di morire, implorava un diritto allo stato italiano, che ad oggi non riconosce l’eutanasia come una libera scelta.Sostenuto dalla sua fidanzata Valeria, da Marco Cappato-promotore della campagna “Eutanasia legale”e dall’Associazione “Luca Coscioni”, ha portato avanti la sua battaglia di suicidio assistito, ma senza risultati in Italia.Il diniego in Italia della morte assistita da parte degli operatori, ha spinto  Fabiano e la sua famiglia a recarsi in Svizzera, finendo lì la sua esistenza, che per lui non era vita.

Si rivolse alle istituzioni con una lettera dal tono contrito, carica di emozioni, rivisitata e portata all’attenzione delle anime, grazie alla voce di Valeria, la compagna: “ Mi chiamo Fabiano, sono sempre stato un ragazzo un po’ vivace e un e un po’ ribelle, ho fatto vari lavori nella mia vita, tra cui l’assicuratore, il geometra, il broker e per un periodo sono anche stato in una squadra motociclistica e correvo in motocross. Per cinque anni ho vissuto con la mia ragazza Valeria in India, realizzando il mio sogno: suonare e fare il dj”, perché la musica era l’unico modo per far felice me e gli altri. Oggi non vivo più, ma sopravvivo, e devo dire che non sono depresso”.Dichiarazioni di spessore umano ed etico arrivano dal cuore ai tavoli istituzionali, in particolare al presidente della Repubblica Mattarella, il che non ha mai apportato un’apertura al suo bisogno reale, cioè quello di stoppare la sue funzioni vitali, secondo il suo punto di vista.L’eutanasia è un tema di profonda espressione individuale ed umana, che può essere sottoposto a più interpretazioni ed analisi, a seconda della percezione del fenomeno: ovviamente ognuno sceglie in base al proprio vissuto, in un andirivieni di pensieri, dubbi, perplessità e ripensamenti, ma al primo posto vi è la libertà personale, che non deve essere violata e bypassata da nessuno.

Oggi Fabiano è morto consapevolmente in Svizzera, un paese che gli ha concesso di riappropriarsi della sua libertà di “morire tranquillamente”, senza vedersi cieco a 40 anni e tetraplegico, una condizione che lo aveva privato della sua vita di prima.L’Italia chiede scusa alla famiglia di Antoniani, memore di aver preso sotto gamba un affare di stato, dove non ci sono né vincitori e né vinti, ma soltanto vite umane.Per quanto riguarda la legge sull’eutanasia ci sono alcuni aspetti da chiarire: le proposte di legge sull’eutanasia sono bloccate da circa un anno in commissione, mentre quella del testamento biologico è stata slittata ,ed è una vergogna che si proroghino i tempi per questioni urgenti, di etica e di civiltà, dettate da un impegno preso dall’associazione Coscioni circa 3 anni fa, ed ancora in fase di discussione.La morte assistita di Fabiano Antoniani ora è notizia, divulgata su tutti i giornali nazionali e internazionali, quasi a ristabilire un contatto diretto con la società tutta, con la famiglia di Fabiano, di Valeria, la compagna forte e decisa nelle scelte di una giusta causa: un’armonia di intenti ora corre veloce all’altare della libertà in toto.

Matteo Spagnuolo

 


La libera coscienza dall’essere umano

 

SIFONETTI TERESAL’attuale dibattito sul tema Eutanasia ha generato polemiche e accese controversie nell’ambito morale, religioso, legislativo, scientifico, filosofico, politico, etico.Di fronte ad un problema di questa dimensione la Sociologia si adopera a comprenderne gli aspetti individuandone una riflessione.  E’ proprio in questi giorni si assiste a critiche serrate da parte dell’opinione pubblica nel tentativo di costruire false ideologie.

Fin dall’antichità in certe popolazioni della terra quando una persona comprendeva di essere arrivata alla fine di questa esperienza terrena, si isolava dalla famiglia e dal gruppo è dopo essersi congedata si lasciava morire in perfetta solitudine digiunando.L’individuo sociale è costituito da un ‘identità nella quale percepisce la necessità di distaccarsene attraverso l’Eutanasia programmata. Mettere fine ai suoi giorni, denota il valore assoluto della vita dichiarando il potere di esistere annullandosi. L’io dell’uomo aspira alla massima libertà: libertà di scelta. Il libero arbitrio, quale elemento fondante della dimensione individuale, che esula dal fattore sociale e dalle comuni credenze.

E’ umanamente crudele pensare di costringere di far rimanere in vita un individuo davanti alla propria malattia, rimanere come un essere sconfitto sofferente ed inerme contro il suo volere, quando la sua vita ha perduto qualsiasi dignità e prospettiva futura. Le connotazioni ideologiche fortemente permeate dalla dottrina cristiana, radicata fortemente in Italia, non può essere stereotipo e paragone di insanabile giudizio sul valore della Vita. Le religioni sono elemento fondante delle comunità e rappresentano un luogo ideologico, che accomuna le persone che vivono la Fede e il Dogma in modo assoluto. Il senso della vita, la percezione del dolore, la dignità personale vanno oltre i rituali e le preghiere ed ogni scelta, come quella di Dj Fabo, merita rispetto, senza giudizi, perché la libera coscienza vive nell’anima umano.

 

Teresa Sifonetti, sociologa ASI


Barriere architettoniche, come abbatterle?

 

16729476_1807611486155940_7014346523541303677_n (1)Un pomeriggio dedicato al tema sulle barriere architettoniche, ove per barriera architettonica si intende: un qualsiasi elemento costruttivo che impedisce o limita gli spostamenti o la fruizione dei servizi, nello specifico a persone disabili, con limitata capacità motoria o sensoriale.Le associazioni presenti sono state:Fand, Anmil, Ens, Uici, Angsa, Anglat, Asi, Arpa, Arcacalabria, Irifor, Le mani nel domani, What women Want , Api Parkinson ed anche gruppi spontanei, in vista di eventuale presenza associazionistica.Il presidente dell’Uic di Cosenza Pino Bilotti in una prima parte del suo intervento ha tracciato una linea di contatto con le altre associazioni, al fine di sensibilizzare più realtà possibili, con l’intento di adottare strumenti utili, volti al miglioramento della vita delle persone con difficoltà fisiche e sensoriali.Antonio Cardamone- presidente di Arcalabria , si rivolge alle istituzioni, chiedendo maggiore attenzione alle problematiche in essere, in particolare si sofferma sulla realizzazione di un’oasi felice, dove i bambini possano ritrovare sostegno, forza e diventare parte attiva.Il vicepresidente Caterina Spadafora  di Angsa (Associazione Nazionale Genitori soggetti autistici) si esprime sul tema come mamma, e poi come vicepresidente, il cui obiettivo è arrivare dritta al cuore di chi dovrebbe abbattere le barriere architettoniche, in virtù del fatto che esiste anche la Legge 13/89, i cui contenuti erano legati alla progettazione negli edifici senza barriere architettoniche, per poi approdare verso la meta della non applicazione della legge.Per quanto riguarda una madre di un bambino autistico, che apparentemente può sembrare una persona senza alcun problema, in realtà dietro il suo volto vi è un mare di ostacoli, in termini di fruizione dei servizi offerti dalla società civile, pertanto l’invito dei genitori è quello di educare la società al disturbo dell’autismo, prevedendo misure di tutela e difesa dei diritti dei bambini autistici( un esempio di quotidiana amministrazione può essere addotto agli ospedali, nel senso che può capitare che un bambino con disturbi autistici possa sentirsi male, e se gli operatori sanitari non conoscono il problema, non riusciranno mai ad entrare in contatto con il soggetto, bensì creeranno un muro: il muro della poca collaborazione, additando la colpa al bambino, piuttosto che alla loro negligenza e poca competenza).Le barriere architettoniche sono anche quelle comunicative, quelle del personale poco adeguato negli ospedali e nelle strutture, in un andirivieni di occhi e sguardi poco affini alla percezione della disabilità.

Foto Barriere ArchitettonicheMatteo Spagnuolo piccolaL’associazione Mani nel domani, presieduta da Paola Giuliani, ha come mission quella di formulare logiche di vicinanza alle famiglie con problemi di disabilità in casa, dando loro l’opportunità di venire allo scoperto, di parlarne, ed individuando le giuste soluzioni ( gli screening veloci aiutano a prevenire e comprendere la tipologia di difficoltà motoria o sensoriale in essere). Asi dà il suo contributo in relazione al tema in questione, grazie all’intervento di Davide Franceschiello, che afferma. “Le barriere architettoniche sono un problema culturale più che strutturale di una società, che scarica sulle condizioni di salute della persona, la responsabilità degli ostacoli e barriere, che colpevolmente crea”. La condizione di disabilità deriva dalla mentalità costruita, ormai radicata, che regna sovrana nell’hinterland nostrano, il che rende difficile l’abbattimento.Teresa Colonna di Ens( Ente nazionale sordi) illustra la vera problematica della persona sordo-muta, che non può né sentire, né parlare, di conseguenza la barriera che si frappone tra quello che offre la società e  quello che dovrebbe essere garantito, è legata alla mancanza di sistemi di digitalizzazione, in grado di comunicare con la persona sorda (chiunque con la difficoltà sensoriale della sordità, si dovesse trovare bloccato in ascensore, non riuscirebbe a comunicare con i citofoni e tutti i segnali acustici, perché sordo).Anche What Women Want, Api, in sede di seminario erano presenti, e verso la fine dei lavori del seminario, hanno dato la loro testimonianza, nello specifico Api, un’associazione che si occupa di gestire il disagio delle persone affette dal Parkinson, che colpisce ad ogni età, non guardando in faccia la tua vita di prima. Chi si ammala di Parkinson rischia di essere emarginato dalla società civile, la cosa quindi desta molto rammarico.Preoccupazione e denuncia alla politica arriva da ogni parte, ed ognuno si assume la responsabilità nella ricerca di chiavi introduttive, degne di un’apertura al tema della disabilità. Il presidente Iacucci è intervenuto alla fine, memore di esperienze passate in merito alla sua attività di amministratore, la quale gli ha permesso di affrontare più volte le esigenze delle famiglia con ragazzi diversamente abili, ragione per cui dà il suo supporto. L’augurio è quello di partecipare ampiamente alla denuncia sociale, di portare aventi una causa di battaglia e rispetto dei diritti delle persone con difficoltà motorie e sensoriali.

Matteo Spagnuolo

 


Barriere, architettoniche o mentali

CONVEGNO BARRIERE 1 DAVIDE FRANCESCHIELLOCosa sono le barriere architettoniche? un qualunque elemento costruttivo che impedisce o limita gli spostamenti o la fruizione di servizi, alle persone disabili. Ma la realtà ha insegnato invece che ogni individuo, nell’arco della propria vita, si trova a dover fronteggiare problemi di spazi non accessibili, o inadeguati, alle sue necessità e condizioni fisiche, momentanee o acquisite, così la mamma con la carrozzella, il ragazzo con la gamba ingessata, gli anziani autosufficienti, ma costretti ad appoggiarsi ad un bastone.La barriera architettonica può essere una scala, un gradino, una rampa troppo ripida, ma anche porte, lavandini, la mancanza di taluni accorgimenti (scorrimano, segnaletica opportuna) materiali sdrucciolevoli, spigoli vivi,  Qualunque elemento architettonico può trasformarsi in barriera architettonica e l’accessibilità dipende sempre da come si approccia il problema.La barriera architettonica è un problema che riguarda tutti, non solo le persone con disabilità. In tal senso urge una profonda trasformazione culturale. Oggi non è più possibile inquadrare le persone con disabilità sotto l’aspetto esclusivamente medico, ossia come dei malati ai quali deve essere garantita protezione sociale e cura (in altre parole non è possibile scaricare sulle condizioni di salute della persona la responsabilità di una società che colpevolmente e superficialmente crea ostacoli e barriere). Occorre invece  ricondurre il tutto sotto l’aspetto sociale, che valorizza e non penalizza le diversità umane – di genere, di orientamento sessuale, di cultura, di lingua, di condizione psico-fisica e così via – e pone la condizione di disabilità non come derivante da qualità soggettive delle persone, bensì dalla relazione tra le caratteristiche delle persone e le modalità dei segni attraverso le quali la società organizza l’accesso ed il godimento di diritti, beni e servizi.

CONVEGNO BARRIERE 2Per cui una persona si trova in condizione di disabilità, non perché si muove con una sedia a rotelle, ma perché gli edifici sono costruiti con le scale, si pensa che comunicare sia possibile solo attraverso il linguaggio orale, che orientarsi sia possibile solo attraverso l’uso delle vista. Pertanto ogni autobus senza adeguamenti per non deambulanti, non udenti e non vedenti, ogni edificio senza ascensore, deve rappresentare oggi una violazione dei diritti umani.È evidente che la mancanza di pari opportunità deriva da una società che non ha tenuto conto o non ha voluto tenere conto di tutte le diversità umane, divenendo così la conseguenza di trattamenti sociali radicati e stratificati nel tempo. Il medesimo stigma negativo è riconoscibile per il razzismo, la cui radice storica può ricondursi allo schiavismo e al colonialismo. La nostra società ha fatto sempre fatica a riconoscere la persona esclusa come titolare di eguali diritti, anzi combina una seconda attitudine sociale, ad essa legata in un circolo vizioso, ritiene addirittura giustificati i trattamenti differenziati, solo ultimamente, ma con molta renitenza, bollati come discriminazioni.La condizione di disabilità così stigmatizzata diventa causa ed effetto di povertà.

CONVEGNO BARRIERECausa perché il modo in cui vengono trattate le persone con disabilità genera esclusione sociale, limitazione all’accesso ai diritti, ostacolo e barriera mentale alla fruizione degli spazi, beni e servizi. Quindi impoverimento sociale, laddove la povertà non è più intesa, unidimensionalmente, solo come povertà economica, ma soprattutto ed in funzione della sua multidimensionalità, come povertà relazionale, di rapporti sociali e culturali che, nella loro forma più acuta portano a loro volta alla povertà economica. Una persona può essere povera ma non esclusa, ma se esclusa dalla società diventerà certamente povera.Non possiamo più parlare di integrazione sociale, non basta e non è utile, laddove questa è intesa come processo di una comunità che, avendo già deciso le proprie regole, permette alle persone esterne di potervi accedere, come se venisse concesso un privilegio e non un sacrosanto diritto. In tal modo integrazione per i nuovi arrivati significa accettare regole e principi già definiti prima del loro ingresso, in sostanza devono adattarsiImmaginiamo le persone con disabilità integrate in una società che continua a costruire barriere ed ostacoli, non curante della situazione di disagio creata. Dovranno continuare ad adattarsi al sistema concepito mentre bisogna cambiare assolutamente ottica, anche il linguaggio deve adeguarsi.  L’obiettivo diventa pertanto l’INCLUSIONE, per mezzo della quale le persone vengono inserite nella società con gli stessi poteri e garanzie di partecipazione di tutti gli altri membri della comunità. In altre parole, la loro presenza attiva contribuisce a riscrivere parte delle regole e dei principi di quella stessa società, introducendo nuovi valori e principi e garantendo loro una piena partecipazione sociale, su base di eguaglianza con gli altri cittadini.Alla fine del processo di inclusione la società trasforma regole, culture e approcci verso la diversità, offrendo la cittadinanza piena e il totale rispetto dei diritti umani. In qualche modo trasforma il concetto di normalità, allargandolo ed arricchendolo di nuove caratteristiche.Bisogna avere quindi il coraggio di attivare un processo faticoso, di crescita e consapevolezza, riscrittura dei principi, recupero della dignità delle persone escluse, soprattutto di presa in considerazione di nuovi bisogni.

Davide Franceschiello

sociologo e dirigente nazionale ASI- Associazione Sociologi Italiani


La forma della seduzione femminile nell’arte: effetto di un esperimento sociale

pezzo spaguolo sulla donnaIn occasione della premiazione dei versi poetici “ Club della Poesia-2^Galà dell’amore Romeo e Giulietta”, la cui conduzione è stata affidata ad Andrea Fabiani, è stato possibile assistere all’esposizione delle tele d’arte di Calì la Rebelle”.L’arte di Calì è la rappresentazione delle forme armoniche, in termini di seduzione femminile, un lavoro di colori monocromatici nell’ambito del nudo femminile, frutto di scelte stilistiche e di progettualità, in un unicum di linee e di immagini a colori.La donna, ad oggi, è spesso oggetto di desideri macabri, anche da parte del marketing, in un’ottica di mercificazione e di esposizione erotica, a favore della cultura sessista: l’attualità è costellata dalla vendita di prodotti attraverso l’uso e l’abuso delle doti femminili ( seni, occhi e sguardi sexy).L’artista Calì vuole riappropriarsi della raffigurazione semplice e lineare della femminilità, in un contrasto di colori monocromatici e linee decise, una pittura delicata e suggestiva, capace di arrivare a chiunque volesse carpirne il significato e la qualità di impatto.Da un punto di vista sociologico, nel XX secolo, non sempre si è data importanza alla figura femminile, tanto che nell’arte le stesse donne potevano solo rappresentare se stesse, o meglio essere accompagnate dal marito o da qualche uomo, che permetteva loro anche un’espressione artistica.Donna e arte camminano di pari passo, alla luce delle battaglie femministe avvenute negli anni sessanta, quando le donne, in concomitanza con i movimenti politici, protestavano per dare il loro contributo artistico, in virtù dell’accentramento al femminile.In una delle sue opere “Prospettive” Calì cerca di restituire dignità alle donne, ricercando il bello nella pittura con spatole senza pennello, una strategia stilistica che la innalza al ruolo di paladina dell’arte giusta, quella reale, che rappresenta la donna, una donna vera , senza per forza essere completamente nuda, ma in grado di sedurre con la forza della mente.Mente e corpo diventano un tuttuno nell’arte di Calì, al fine di lanciare messaggi sociali ed etici: uno dei suoi obiettivi è arrivare al cuore della gente, degli osservatori, dell’arte in sé, e di riportare la donna alla ribalta, dando rilevanza al potere intellettivo.

Un’altra immagine forte che ci offre nella sua arte è la vicenda del 30 enne friuliano, morto suicida, perché preda della società che non valorizza, che non aiuta, che non guida, e non illumina il cammino. La base frastagliata di rosso e nero è la reincarnazione della vita e della morte, in un contrasto di confusione e smarrimento. La ricerca della verità, della bellezza, dello stile, dell’educazione, del rispetto dell’altro sono per Calì l’esemplificazione e l’espletamento della femminilità, che da un punto di vista sociale si scinde dalla riproduzione di corpi seducenti.Il fatto che ci siano Muse nell’arte di Calì, ciò non deve portare a pensare che la donna sia musa ispiratrice e basta, ma deve spingere la collettività a paragonare la musa alla forza del pensiero, senza filtri e senza fraintendimenti del caso.Nel ‘900 i ritratti del nudo femminile appartenevano al mondo maschile, il quale riproponeva tipi fissi: la Venere, la Musa, l’ Eva tentatrice, la donna viziosa e portatrice di peccato, quasi a dire che la  donna fosse di proprietà e non soggetto libero.Immagini fisse, quasi ripetute erano quelle che gli uomini rappresentavano, né tantomeno le donne artiste potevano interferire, perciò l’arte di Calì è una ribellione alla società sessista, maschilista e priva di linee emotive.L’emotività nell’arte ci fa cogliere tanti sensi, tante sfumature, che un occhio poco affine e poco sensibile non riesce a vedere.Un contributo al femminile, quello di Calì, che riesce appieno a coinvolgere il suo pubblico, in un arcobaleno di effetti unici, la cui presentazione in arte è sinonimo di socialità, volontà a portare se stessi nelle tele, rifugio delle anime in pena.

Matteo Spagnuolo

 


LEGGERE IL TERRITORIO, L’EDUCAZIONE AMBIENTALE A SCUOLA

 

DORIANA DORO febbraio 2016Il tema dell’educazione ambientale è centrale tra le sollecitazioni che la cultura contemporanea pone e sempre piu’si sente l’esigenza di un sapere critico ed interpretativo in costante evoluzione. I temi dell’educazione ambientale stanno sempre più entrando nel vissuto collettivo e si ripercuotono nella cultura scolastica alla quale pongono interrogativi in una chiave nuova attenta alla complessità del sistema.Educazione ambientale e riferimento al territorio aggregano anche significati attinenti la sfera affettivo/sociale (educazione alla qualità della vita).L’educazione ambientale può essere oggi uno degli strumenti per rendere vivo ed attuale un sapere in cui i significati dell’esperienza quotidiana sono letti con strumenti dell’analisi delle discipline ed inseriti in un quadro di sapere strategico nel quale conoscenze/fatti/valori mostrano la loro interdipendenza.Educazione ambientale è pure consapevolezza del proprio ambiente di vita da conoscere e valorizzare.

IL TERRITORIO

Il territorio è l’insieme dei luoghi che frequentiamo nella vita quotidiana.E’ formato da una realtà naturale sulla quale l’uomo interviene per renderla sempre più funzionale alle proprie esigenze.Nel tempo le condizioni ambientali permangono relativamente stabili mentre i modi di vivere, di operare, di rispondere ai bisogni umani variano continuamente e determinano la tipologia e la qualità dei rapporti tra natura e uomo.L’organizzazione e la struttura del territorio nella loro genesi e sviluppo costituiscono per la scuola i punti di riferimento della scelta e dell’organizzazione degli argomenti dell’educazione ambientale. L’oggetto dell’educazione ambientale è il territorio, insieme di condizione ambientali e dell’organizzazione umana che ad esse si è sovrapposta ed adattata interagendo.

INTEGRAZIONE TRA DISCIPLINE

La competenza progettuale dei docenti è fondamentale nel lavoro scolastico.Grazie ad essa si procede per integrazioni significative ed essenziali nella vastità dei contenuti che la realtà ambientale presenta.L’educazione al territorio impone la logica del progetto perché le condizioni, gli elementi culturali di riferimento, le risorse sono sistematicamente diversi da situazione a situazione e rifiutare l’idea di educazione ambientale come “nuova materia” ha il senso di considerare impossibile per la scuola dell’obbligo la redazione di un qualsiasi manuale; indubbiamente sottolinea l’importanza del progetto specifico.Ne sono condizione essenziale alcune attenzioni tipiche di ogni ipotesi educativa nel senso della formazione e della conoscenza. 1.La gestione di un’autonomia culturale da parte della scuola che diviene sede di “elaborazione della cultura” secondo il dettato dell’art.2 del D.P.R.417/74: “La funzione docente è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo all’elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo”. 2.L’applicazione dei metodi di analisi culturale specifici delle  diverse discipline di cui i docenti sono i responsabili primi, per cui l’unità della cultura come sintesi interpretativa del reale è garantita dalla specificità degli approcci. 3.La collaborazione progettuale ed operativa tra i docenti esigita dalle responsabilità decisionali comuni(collegio-gruppo docente e relative suddivisioni degli ambiti disciplinari) sui temi di educazione ambientale per loro natura spesso trasversali alle discipline.

Nella direzione della conoscenza del territorio si incontrano quindi:competenze progettuali dei docenti rivolte soprattutto alla sistemazione dei contenuti in assetti significativi;competenze didattiche specifiche quali la sistematicità delle osservazioni, l’esplorazione, la rilevazione, l’analisi dei documenti e dei segni del territorio con le tecniche adeguate oltre alla padronanza minima dei passaggi fondamentali dei metodi d’indagine delle discipline; capacità di utilizzo a scopo di apprendimento delle risorse del territorio, soprattutto quando la stessa realtà offre alla scuola una serie di occasioni e supporti da integrare nel curricolo.Le diverse iniziative di enti locali e gruppi si pongono in questa prospettiva ma la loro azione sarebbe puramente aggiuntiva se non fosse ben chiara la necessità di intervento della scuola per dare il taglio educativo e di conoscenza che è proprio dell’istituzione scolastica.

Bibliografia

A.Giunti, La scuola come centro di ricerca, La Scuola , Brescia 1973.

C.Piantoni, Ambiente da salvare, didattica dei beni culturali, Armando, Roma 1986.

D.P.R.417/74. “La buona scuola” – L.107- 13 luglio 2015

Dott.ssa Doriana Doro, Sociologa


SENTIMENTI VIOLATI

 

 

Relazione al corso di criminologia organizzato dal coordinamento regionale  donne della Cisl Calabria, in collaborazione con la Fondazione Roberta Lanzino e l’ASI – Associazione Sociologi Italiani

MARIA RITA MALLAMACI 11 FEBBRAIO 2017Non c’è nulla di moderno nella storia che parla dei complicati rapporti fra le donne e gli uomini, attuale sì moderno no. Parlare di sentimenti significa parlare di amore, affetto, considerazione, desiderio di libertà, desiderio di autonomia, desiderio di autodeterminazione, e significa anche anteporre il valore e la qualità di ciò che si sente e si percepisce rispetto alle azioni.Ma se percorriamo le strade fangose e tortuose del genere femminile, qualunque tipo di sentimento è complicato, arduo e violato, laddove per violazione si intende tutto ciò che limita, previene, nasconde ed elimina. Di attuale c’è il persistente modo di comunicare un fatto tragico e violento, come già la settimana scorsa Antonio Latella ci ha spiegato benissimo. Di attuale c’è il linguaggio mediatico che nella sua imprescindibile necessità di creare effetto e sensazionalismo, genera un voyeurismo mediatico che supera lo scopo di indagare, capire e risolvere, ponendo al centro della scena informativa la notizia di sentimenti e corpi violati e suscitando orrore e raccapriccio.Qualunque azione che lede i diritti umani e non tiene conto dei sentimenti delle persone, è un’azione criminosa.Qualunque azione criminosa, che si protrae nel tempo, condiziona e stravolge il DNA degli esseri umani e, soprattutto verso le donne, nei secoli e con una metodica quasi scientifica, si è perpetrato un comportamento fortemente alienante e discriminante, attraverso la violazione dei loro sentimenti unita quasi sempre alla violazione dei loro corpi.Occorrerebbero ore per tracciare un profilo esaustivo della storia dei sentimenti e dei corpi violati delle donne, e siccome il nostro è un tempo molto più ridotto, ho pensato di toccare alcuni dei punti più indicativi rispetto al tema di oggi.

 

 Quelle del video che abbiamo appena visto (“Caccia alle streghe”) erano semplicemente delle donne che avevano acquisito delle competenze nella guarigione attraverso le erbe e che provavano a lenire i dolori e guarire alcune malattie, con l’utilizzo di ciò che la natura offriva. Oggi è diventato uno stile di vita, quasi una moda, e per fortuna nessuna donna subisce lo stigma, la condanna e il rogo se sceglie di curarsi con la naturopatia, ma quelle donne facevano paura perché la loro capacità di guarigione le poneva al di sopra di tutto e di tutti e conferiva loro un’aura potente che allarmava gli uomini, i quali davanti alla possibilità che altri potessero usurpare il potere decisero di toglierle di mezzo, si stima che le donne condannate, violentate e messe al rogo tra il 1500 ed il 1800, furono circa 7 milioni e mezzo, molti storici lo chiamano OLOCAUSTO. Le donne rappresentavano già un mistero, perché la loro capacità di procreare le aveva poste in un ambito di “misteriosa superiorità”, e se a questo aggiungevano anche le loro capacità di stare al mondo decidendo in che modo accudire e alleviare le sofferenze umane, diventavano esseri dotati di potenza e forza naturali che incarnavano la sovranità del principio femminile, con i suoi valori di conservazione, protezione, aiuto reciproco e condivisione, trasmettendo forza alla popolazione.Chiunque usasse la testa costituiva una minaccia alla ricchezza ed al potere di una minoranza di privilegiati, e a queste donne veniva contestato anche il fatto che con i loro “artifici diabolici” potevano danneggiare gli uomini, colpendo la loro virilità.CRIMINOLOGIA_2

Chi autorizzava, ed ancora oggi autorizza, a compiere atti violenti e violanti verso le donne? La risposta è, ed è sempre stata, la cultura che vede gli uomini come unici protagonisti del panorama umano, i soli che avrebbero il diritto di decidere come e cosa fare delle cose e delle persone: la cultura patriarcale. Il Patriarcato è una forma di organizzazione politica, economica, religiosa e sociale basata sul concetto di autorità e leadership del maschile, nella quale si ha il predominio degli uomini sulle donne, del marito sulla moglie, del padre sulla madre e sui figli e figlie, e della discendenza paterna su quella materna.Il Patriarcato è nato dal consolidamento del potere storico da parte degli uomini, i quali si sono appropriati della sessualità e della riproduzione delle donne e del loro prodotto, i figli e le figlie, creando allo stesso tempo un ordine simbolico mediante i miti e la religione che lo hanno perpetuato come unica struttura possibile ed è, a tutt’oggi, il costrutto primario sul quale poggia l’intera società.Attraverso il Patriarcato la classificazione tra “superiore” e “inferiore” si traduce in “uomo” e “donna” e si estende subdolamente ad altri gruppi basandosi sulla differenza gerarchizzata dell'”uno” contro l'”altro”.L’ordine patriarcale crea, così, un’impostura fondata sul principio dell’Assoluto maschile, unico e solo, che esclude le donne, omettendo dal panorama concettuale e decisionale almeno la metà dell’umanità, ma poiché costituisce una cultura tramandata e non scritta esula dal linguaggio comune e quasi mai affiora sulla bocca di filosofi e politici, proprio perché non fa parte di una convenzione comunicativa.Attualmente esistono diversi gradi di oppressione patriarcale differenti, a seconda dell’evoluzione e sviluppo di ciascuna società, che trovano riscontro nella maggiore o minore accettazione e rispetto della “Dichiarazione dei Diritti Umani” approvata e proclamata dall’ONU il 10 dicembre del 1948.La tristissima cultura delle mutilazioni genitali, di cui anche Nausica si fa portavoce per la sua abolizione, è una delle azioni che a tutt’oggi perpetuano il vilipendio del corpo delle donne, e che mutila oltre che il corpo anche i loro sentimenti.Certo, anche le donne hanno “fatto la storia”, nonostante non ve ne siano grandi tracce sui libri, tranne di ciò che  loro sono riuscite a recuperare e riscattare, ma sono state sistematicamente escluse dal compito di elaborare sistemi di simboli, filosofie, scienze e diritto.FB_IMG_1486823176698

 

LE SUFFRAGETTE

Queste sono le prime donne che sono scese per strada mosse dalla consapevolezza, e forse anche dalla rabbia, che bisognava fare qualcosa. Le donne non votavano, non avevano accesso agli studi liceali né alle facoltà universitarie, era loro preclusa qualunque velleità di affrancamento dall’ignoranza. Così nel 1897 nasce la Società Nazionale per il suffragio femminile, la cui fondatrice, l’inglese Millicent Fawcett, chiese anche agli uomini di aderire al movimento, perché solo loro avrebbero potuto “concedere” il diritto di voto: la risposta fu negativa.Il Movimento Femminile voleva raggiungere la parità dei diritti rispetto agli uomini, in ambito politico, giuridico ed economico; le donne volevano insegnare anche alle scuole superiori, volevano votare, volevano pari dignità.Avevano preso coscienza della propria condizione e non si riconoscevano più nell’immagine di creature deboli, passive ed inferiori per natura.Nonostante l’enorme impegno del Movimento Femminile, nel periodo immediatamente successivo, le due guerre mondiali rappresentano un altro momento storico in cui, ancora una volta, i sentimenti delle donne furono violati, facendo loro provare una delle più grandi mortificazioni.In entrambi i periodi bellici, le donne avevano preso il posto di lavoro degli uomini, che erano impegnati nel conflitto, e si erano rivelate particolarmente capaci non solo di mandare avanti l’economia familiare o delle loro Nazioni, ma anche di sostenere i lavori più pesanti, considerati fino a quel momento appannaggio esclusivo della forza lavoro maschile.Si erano, così, illuse di aver conquistato il diritto di poter lavorare assieme agli uomini, e invece alla fine di entrambi i conflitti, furono mandate a case e furono escluse da qualunque possibilità di essere considerate alla stessa stregua dei loro compagni.D’altra parte ancora oggi la stereotipizzazione del genere femminile, codificata dai manuali più importanti di studi sociali, è filtrata da un’immagine che bolla le donne come bisognose di sicurezza, preoccupate solo del loro aspetto, lacrimevoli, particolarmente sensibili, fragili, insomma donne che vivrebbero bene all’ombra di un uomo e che non dovrebbero sentire l’esigenza di autodeterminare la propria esistenza.Dunque, il Femminismo ha sempre rappresentato l’antitesi del Patriarcato, ed è un movimento sociale e politico differente dal progetto patriarcale, con la sua continua ricerca di cambiamento del paradigma globale con alternative di sviluppo umano e di libertà tanto per le donne che per gli uomini.Ciononostante il nostro attuale contesto sociale non poggia su un percorso già compiuto ed acquisito, quanto piuttosto, come in una parabola discendente, sull’aspra recrudescenza dei cattivi rapporti fra donne e uomini, instaurando nuovi conflitti basati per lo più sul potere.Molti pensano che il potere femminile sia una sorta di azione prevaricatrice fine a sé stessa, portata avanti dalle donne con violenza ed aggressività, come se fosse un comportamento sterile che viene adottato per avere il predominio sugli uomini, bisognerebbe invece spostare l’asse del punto di vista ed osservare con lucidità ciò che, molto spesso, avviene in un rapporto fra un uomo ed una donna.Nei primi anni ’70 Carla Lonzi, nota critica d’arte che si occupò a fondo della questione femminile, scriveva:“Per uguaglianza della donna si intende il suo diritto a partecipare alla gestione del potere nella società, mediante il riconoscimento che essa possiede capacità uguali a quelle dell’uomo”.criminologia 3

IL FEMMINISMO DEGLI ANNI  SETTANTA

CRIMINOLOGIA_2 criminologia2Già, l’uguaglianza, la pari dignità e la pacifica convivenza.Invece sono, ancora, davvero pochi gli uomini che riconoscono alle donne, anche a quelle più vicine a loro, la pari dignità nell’esercizio delle scelte personali e familiari, ancora molto pochi quelli che riconoscono alle donne la capacità di attuare metodi lavorativi fondati sull’equa distribuzione degli incarichi e delle responsabilità.Ci troviamo, così, davanti ad un mondo del lavoro gestito quasi completamente da uomini, un mondo verso cui le donne non riescono ad avere un approccio sereno, ma devono attuare scelte molto dure, infatti per fare carriera spesso devono abbandonare l’idea di crearsi una famiglia o, se già ce l’hanno, lavorare più del doppio per contemperare entrambe le cose, perché anche in questo gli uomini non subentrano quasi mai nella condivisione dei ruoli familiari e non manlevano le proprie compagne da molti carichi.Il cosiddetto soffitto di cristallo non è un meraviglioso tetto che potremmo scegliere di avere nella nostra meravigliosa casa, ma è un concetto moderno che spiega i sentimenti tarpati delle donne che sperano di autodeterminarsi professionalmente e non ci riescono.Attraverso il soffitto che, come il cristallo, è trasparente riescono a vedere e capire dove potrebbero arrivare costruendo la propria carriera, ma rimangono bloccate dalla cultura maschile, che sfianca qualunque progettualità e impedisce l’ascesa ai vertici aziendali.E sono ancora davvero tanti, troppi, gli uomini che esercitano il proprio atavico predominio morale e fisico, impedendo alle donne di compiere scelte differenti, castigandole quando esse vorrebbero dar voce ai propri mutamenti cambiando stile di vita, un numero esagerato di uomini crede che sia meglio eliminarle piuttosto che confrontarsi con loro.E così la modernità ci regala un altro prototipo: l’uomo che uccide, in tal modo, secondo lui, annullando la donna può allontanare da sé ogni motivazione di conflitto, senza volere o sapere tener conto che qualsiasi rapporto interpersonale passa ad un livello superiore anche attraverso il lavoro di un confronto, pur se doloroso.Questo nuovo e “coraggioso” uomo, è assolutamente impreparato ad affrontare una crisi, personale e di coppia con modalità umane, e siccome dalla sua ha, molto spesso, una notevole forza fisica, superiore a quella che ha in genere una donna, si abbandona all’esercizio reiterato della violenza.

FB_IMG_1486823301175FB_IMG_1486823169453 (2)L’iter, in questi casi, è già definito: comincia con l’alzare la voce, intimando ordini e comandi, poi passa alle mani, menando ogni qualvolta le cose e le persone non siano come le vuole lui, e da ultimo, senza via né d’uscita né di ritorno, uccide, annullando, una volta per tutte, ogni possibilità di dialogo, riflessione o ricerca di soluzioni alternative.Non c’è niente da fare, per questo tipo di uomo la violenza perpetrata ai danni di una donna, è l’unica strada percorribile, il cui esito finale deve essere l’annullamento della donna stessa.Ma noi donne non avevamo già altri problemi?.…il giusto riconoscimento sociale, …l’acquisizione del controllo della nostra vita, ….la triste questione di scegliere se e come è possibile coniugare un lavoro con la creazione di una propria famiglia, …. e se ne aggiunge un altro ancora più grave…Oggi un numero esagerato di donne non sa se riuscirà a sopravvivere per poter continuare ad occuparsi delle proprie cose.Sempre Carla Lonzi scriveva, più di quarant’anni fa:“Non salterà il mondo se l’uomo non avrà più l’equilibrio psicologico basato sulla nostra sottomissione”. La Lonzi, e non solo lei, non avrebbe mai potuto immaginare che, invece, il mondo sarebbe saltato e che la lotta contro la sottomissione delle donne avrebbe generato milioni di uomini senza equilibrio, illusi di poter rinascere attraverso la violazione dei sentimenti e dei corpi delle donne.Se vogliamo cambiare ed affiancare alla cultura maschile anche la cultura femminile, tirando fuori dall’invisibilità la logica del dominio che assimila sia il dominatore che il dominato, è necessario fare alcuni passi importanti: occorre riconoscere la cultura maschile quale, a tutt’oggi, unico riferimento sociale, parlarne e tenere conto che la collettività è il luogo in cui risiede la categorizzazione e lo stigma e che la collettività è formata da uomini e da donne che, spesso in modo complice, giudicano altre donne indegne di essere libere ed autodeterminate.

Maria Rita Mallamaci, sociologa e criminologa, vice presidente nazionale dell’ASI – Associazione  Sociologi


Il social che spesso uccide senza saperlo

 

                                                     Era l’1 luglio del 2016 quando Roberta Smargiassi perde la vita, a causa di un impatto violento all’incrocio di una via di Vasto, in Abruzzo

Matteo Spagnuolo piccolaLa dinamica dell’incidente viene ripresa attraverso le telecamere, che hanno permesso alla magistratura di visionare i tempi dell’incidente, spezzati nei secondi, che hanno preceduto la morte di Roberta, che stava per passare dall’ incrocio di una strada di Vasto, catapultata poi da un’auto, alla cui guida c’era Italo D’Elisa, morto ammazzato con tre colpi di pistola calibro 9, davanti all’ingresso di un bar, per mano di Fabio Di Lello, marito di Roberta. Si trattò di omicidio stradale, le cui indagini erano e sono allo stato attuale in corso, solo che pochi giorni fa il marito di Roberta, ha pensato di farsi giustizia da solo, uccidendo l’investitore di Roberta, definito dai media “l’assassino”, un termine che ha provocato molto dolore in Italo. Fabio Di Lello decide di farsi giustizia da sé, senza pensare al corso delle indagini, in effetti secondo la Giunta distrettuale dell’associazione nazionale Magistrati Abruzzo, il lavoro svolto dai magistrati, dalla procura era alquanto regolare, senza ritardi, e tempestivo in toto. I social media si sono scatenati in modo imperante ed aggressivo, costruendo un muro di odio: hanno creato gruppi Facebook su versanti contrapposti, da una parte i simpatizzanti di Fabio e dall’altra di Italo, come se la vicenda fosse una sfida a due, in cui la vittoria era già una partita a perdere. Alcuni commenti sull’impunità ingiusta di Italo caricarono ancor di più la rabbia di Fabio, ormai caduto nel baratro della disperazione e dell’instabilità emotiva e psicologica. Uccidere l’investitore della moglie era l’unica ragione di vita di Fabio, accusato ora di omicidio premeditato, ai danni del 21enne ucciso a colpi di pistola. Ci sono due morti, due famiglie, due dolori, urla di strazio e di poca rassegnazione: un mix di odio e di frasi ad hoc, al fine di danneggiare l’immagine di un giovane 21enne, pieno di vita e poi reso esanime per via di Fabio Di Lello, che non aveva superato il trauma, macchiandosi di un crimine terribile.

La società civile non si occupa di traumi, ma pensa solo a capire o meglio a dettare leggi su quali misure o strumenti punitivi si debba intervenire, senza spesso averne le competenze e conoscenze necessarie, lasciando in oblio le vittime, in tutti coloro che fanno parte di un caso drammatico. Il video comincia con un’auto ferma in attesa che scatti il semaforo verde, nel frattempo in un’altra frazione di secondo un’altra auto sorpassa a destra un mezzo fermo e tira dritto, travolgendo lo scooter in cui era in sella Roberta, che passa perché trova il semaforo verde, al centro dell’incrocio, ma non viene avvistata da Italo, che la travolge. Sicuramente l’investitore è stato imprudente, poco attento alla guida, distratto e poco consapevole delle sue manovre, ma non voleva uccidere Roberta, ed in questi casi di “omicidi stradali” interviene solo la magistratura, o meglio dovrebbe intervenire (nel caso specifico un parente ha pensato di compiere gesti che nemmeno Roberta avrebbe voluto vedere). Roberta muore, ma insieme a lei muore anche l’investitore, il cui nome è Italo, un ragazzo di 21 anni, che non meritava una fine senza difesa, e senza possibilità di dire: “Io non volevo, ma sono a vostra disposizione, anche perché non ho omesso di soccorrere Roberta”.

Vite spezzate, rotte dall’incantesimo della fatalità, ove non si trova riparo, consolazione e rassegnazione, tanto che Fabio decide di diventare un paladino nero della giustizia ( un giustiziere da solo non esercita in pieno il diritto alla difesa). La campagna dell’odio sui media ha influenzato gli animi delle persone affrante dal dolore, portando dispersione di idee e sentimenti, effetto di una deriva sociale grave e caratterizzante. L’incidente probatorio stabilirà che misure adottare in caso di colpevolezza premeditata, e se al fianco di Fabio ci fosse un complice, ed in questo caso assisteremmo alla tragedia nella tragedia. Un caso italiano, fresco e sempre attuale, nella speranza che la giustizia possa riportare dignità alla famiglia di Italo e di Roberta: due vittime insieme, ovviamente ognuno racchiuso nel guscio del proprio destino, nefasto e senza ritorno. L’odio non può sostituire la giustizia, anzi non deve, ed in questo anche i rotocalchi dovrebbero funzionare, evitando le campagne di schieramenti o di giudizio facile: tutto questo poteva essere evitato, se alla base ci fosse stata un’analisi di coscienze, al fianco di un supporto morale, da parte della società civile, costituita anche da psicologi, volontari e addetti ai lavori.

Matteo Spagnuolo


Il futuro? Un mondo ricco di opportunità

 

Racconto di una “ lectio magistralis” memorabile  curata dal sociologo Domenico De Masi

 

Foto ( De Masi- Caccia) (1)Ci sono incontri destinati a restare per tanto tempo impressi nella mente di chi li vive. Per le suggestioni e le emozioni  regalate alla platea presente al parco di  Roccelletta  nei giorni scorsi, quello con il prof. De Masi rientra a pieno titolo nell’elenco degli eventi da ricordare. Persona poliedrica, di cultura profonda, fantasiosa e dotata di una singolare ironia, il sociologo Domenico De Masi, professore emerito di sociologia dell’organizzazione e del lavoro presso l’università la Sapienza di Roma, ha trasformato la presentazione del suo ultimo libro  ( Una semplice rivoluzione-Rizzoli)  , in un pomeriggio gradevole e stimolante.  La presenza del prof De Masi è stata fortemente voluta dalla Fondazione “Armonie d’arte”, presieduta da Chiara Giordano  e dalla fondazione “Gouteberg”, presieduta dal preside Armando Vitale,  che da diversi anni promuovono apprezzati eventi culturali di livello nazionale. Introdotto dall’inviato di Rai 1 , il calabrese Francesco Barbatella, l’incontro ha affrontato i temi del presente con sapienti collegamenti con il passato della storia del nostro Paese, ma anche con stimolanti incursioni sul futuro dell’umanità. Fra i tanti argomenti sviluppati dal prof. De Masi , la necessità dello studio e dell’aggiornamento delle conoscenze . “Al contrario di quanto avveniva nelle società che ci hanno preceduto- ha puntualizzato il sociologo- le sfide del mondo moderno devono essere affrontate con strumenti e conoscenze aggiornate”.  In tal senso il ridotto numero di laureati e di giovani iscritti presso le università italiane disegna uno scenario che non offre motivi per essere ottimisti. In Italia gli iscritti all’Università sono appena il 36% dei giovani in età compresa tra i 19 e i 25 anni: una media pari ai due terzi di quella europea.

I laureati in Italia sono il 24% contro il 39% della media europea, il 42% della media Ocse, il 46% della Gran Bretagna, il 43% della Francia, il 34% della Germania. Secondo le previsioni Eurostat, nel 2020 l’Italia sarà ancora all’ultimo posto in Europa, con il 27% di laureati A parere  del prof De Masi,   sarebbe urgente una politica di incentivazione  attraverso l’eliminazione del numero chiuso e la riduzione , nei primi anni , delle tasse d’iscrizione.  I rischi di riduzione di posti di lavoro determinati dalla pervasività dell’ automazione di molti processi lavorativi e le nuove professioni nell’area del tempo libero, in particolare il turismo, la cultura e l’attenzione alla salute ed al benessere, hanno visto il prof De Masi, fornire indicazioni circa le tante opportunità del lavoro dei prossimi decenni. Sono opportunità- ha precisato l’eminente sociologo-  in cui è però necessaria non solo una robusta formazione di base, specie di tipo umanistico, quanto spiccate capacità creative.  La creatività a cui fa riferimento De Masi , è la sintesi ideale tra concretezza e fantasia. Il futuro sarà sempre più in mano alle persone creative per tali motivazioni bisognerebbe concentrarsi sulla generatività del pensiero creativo, specie di quello originato dai gruppi di lavoro. In questa direzione , secondo De Masi , molto possono fare le scuole, specie se sperimentano metodi e strumenti didattici innovativi , ma anche i luoghi di lavoro , animati da una nuova cultura del lavoro non per adempimenti, finalizzata al raggiungimento di obiettivi in cui si valorizza il capitale umano disponibile.

          Franco Caccia

Presidente regionale ASI (Associazione Sociologi Italiani


ARTI E MESTIERI 2.0: UN VIAGGIO NELL’ARTE

rossi (1)Un week end espositivo è stato quello del 27-28-29 Gennaio, che si è tenuto presso il Castello Svevo di Cosenza, accogliendo vari artisti, allocati nella sale espositive di pittura, fotografia, scultura, scrittura ed artigianato.L’idea nasce grazie all’associazione Rigenerazione e Venti, con lo scopo di valorizzare i giovani talenti under 35, che orbitano negli ambiti artistici e culturali.Il coordinatore e manager Corrado Rossi è lieto di accogliere l’istituto Pezzullo, che dà inizio nella mattina di sabato ad un laboratorio di alimentazione corretta: un insieme di regole alimentari, facenti capo alla dieta mediterranea, con l’intento di fare dei confronti tra i Goti di Alarico e la raffinata corte di Federico II, un vero viaggio del gusto a 360 gradi.Le professoresse Cassese e Nicoletti del Pezzullo, ci tengono ad illustrare le attività dei ragazzi, che svolgono all’interno del laboratorio di scienze, scansionate in fasi progettuali: il progetto consiste nella fermentazione dell’avena e nello studio di alcune erbe aromatiche, creando modelli di alimentazione sana, in contrasto con quello che mangiavano i barbari( la carne rossa era preferita dai barbari, mentre nell’attuale dieta mediterranea predomina la presenza di frutta e verdura, alimenti ricchi di fibre).Sono presenti anche lo chef Giorgio Izzo, punta di diamante della Maccaroni Chef Academy, tante aziende come la Minisci, la Fig, il giovanissimo Fabio Mellace, quest’ultimo ha realizzato il gelato all’azoto gourmet.

Successivamente Marco Vercillo-direttore artistico dell’evento, favorisce l’incontro con il curatore della mostra Francesco Speciale, che ha curato l’allestimento e l’organizzazione per settori, valorizzando il suo stile, basato su un ciclo di opere con sigillo in cera lacca, vere e proprie installazioni ruvide, tipiche del simbolismo ( incentra la sua arte sulla meccanica quantistica e la matematica, in un andirivieni di forme e di colori, dando importanza alla percezione consapevole della dimensione umana).Il curatore Speciale ha selezionato artisti, fotografi ed artigiani: un lavoro di stile, di scelte non casuali, in effetti anche l’artista Calì la Rebelle si congratula con l’organizzazione del network innovativo, sulla valorizzazione dei giovani talenti under 35, dicendo:” Sono contenta che la mia arte possa essere vicina a tutti”.L’arte di Calì è suggestiva e moderna, una scelta di stile personale e personalizzata, così che i suoi soggetti sono costruiti su linee monocromatiche: un esempio lampante è un quadro rappresentativo della fertilità, ove predomina un colore neutro.Artisti presenti, artisti che si spostano, o che lasciano le loro opere esposte, lasciando all’osservatore la possibilità di emozionarsi, senza per forza dare delle spiegazioni in merito alle loro realizzazioni: una rete capillare è quella degli artisti, che non può esaurirsi in tre giorni, perché sono tanti e tutti devono o dovrebbero avere la giusta attenzione.

Elvira Scarnati ( associazione Venti) sottolinea l’importanza dell’evento, soffermandosi sulle opportunità che questa vetrina espositiva possa dare ad un artista, e dello stesso parere è il suo socio Pierangelo Baffa.Anche la scrittura terapeutica accompagna la manifestazione d’arte, la cui idea parte da Angelica Carchidi, che si circonda di musica e terapia per arrivare alle menti e ai cuori, in un percorso di psiche e analisi dell’io.A far da sfondo alla scrittura che salva, che sostiene, che ripara dalla morte interiore vi è la lettura di testi autobiografici o quasi, in particolare la lettura di un testo sulla bulimia ed anoressia, laddove si può assistere ad una drammatizzazione di un problema in chiava liberatoria. Poi viene letto anche il testo di Eugenio Forciniti ( autore del libro Billy 900) ,in cui si descrive la malattia dello stato d’animo, quando l’abbandono di una persona supera l’indifferenza.L’arte come terapia, come ristori di anime e come espressione di talenti è il filo conduttore della mostra espositiva: le arti creative nel tempo dell’innovazione.

Matteo Spagnuolo


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